Perché la Coppa Davis é… diversa?

Finale in palio questo week-end tra Gran Bretagna e Australia, di quella Davis,  con un fascino tutto suo,  ambita ma spesso snobbata. L’ unica competizione a squadre del grande tennis maschile, che nonostante si tratti sempre dello stesso sport,  ha caratteristiche che la rendono diversa dai tornei che vediamo settimanalmente.

Ad esempio, per la gioia dei giudici di sedia, qui si parla di nazionali e non di singoli, quindi un tranquillissimo “vantaggio Gran Bretagna“, o “Game Australia” piuttosto che sciogli-lingua come “Game Przysiezny, Kolschreiber, o Janowicz”.

Anche i coach se la passano decisamente meglio, ieri a Glasgow durante i singolari, abbiamo osservato più volte capitan Leon Smith, comodamente appoggiato su un divano a bordo campo, interagire coi suoi giocatori, mentre in un torneo normale, si sarebbe dovuto accontentare del box sugli spalti.

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Anche per quanto riguarda il pubblico, ci sono differenze sostanziali, assistere a Wimbledon ad esempio è un impresa, quasi come partecipare ai grandi concerti di Wembley, code interminabili e prezzi non troppo popolari, mentre la Davis è decisamente più accessibile, e nuovi appassionati hanno la possibilità di assistere allo spettacolo del beniamino di casa Andy Murray. Sugli spalti poi si assiste a scene inusuali per un match di tennis: veri e propri supporters, che sostengono e cantano, durante l’ incontro, lontani parenti dei milord che battono le mani timidamente,per tre secondi, alla fine di uno scambio.

E lo spettacolo che offrono i tifosi è decisamente pittoresco, cappelli da cowboy, kilt scozzesi,  bandiere, e maschere raffiguranti Andy Murray, uno scenario che abitualmente vediamo negli stadi durante le partite di calcio,  piuttosto che sugli spalti del Queen’s o dell’ All England Club.

Anche i giocatori la vivono diversamente, ieri Murray più volte, durante la conferenza stampa dopo la sua partita,  si è distratto, preso dall’ incontro del compagno Evans, non rispondendo alle domande dei giornalisti. Un coinvolgimento tale, lo vediamo probabilmente, solo ai giochi olimpici, quando oltre che per se stesssi, si va in campo per la bandiera e per la squadra.

Godiamoci questo spettacolo, quindi, e vediamo se dopo 27 anni Andy riporterà la Gran Bretagna in finale.

Di A.Mariotti

 

 

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