Una storia che va oltre il tennis
Sul palcoscenico degli Internazionali BNL d’Italia, tra match mozzafiato e applausi sugli spalti, c’è stato spazio anche per una narrazione che ha saputo travalicare i confini del campo da gioco. Tathiana Garbin, ex tennista e attuale capitana della nazionale femminile, ha presentato il suo libro “Il mio match per la vita tra gioie e cicatrici”, scritto insieme alla giornalista Federica Cocchi. Un’opera intensa, intima e profondamente umana, che racconta la sua lotta contro una grave malattia e il lungo percorso verso la guarigione.
Una battaglia giocata un punto alla volta
Nel cuore del Foro Italico, nella sala stampa del Centrale, Garbin ha condiviso con emozione i momenti più difficili degli ultimi due anni. La diagnosi, le operazioni, la paura e l’incertezza. Ma anche la forza di rialzarsi, affrontare ogni giorno come un nuovo game da conquistare. Non a caso, nel libro si evita ogni retorica bellicista: la malattia non è una guerra da vincere, ma una partita da giocare con intelligenza, determinazione e, soprattutto, umanità.
“Era sotto 2 set a 1 e serviva Karlovic”, si legge tra le righe, a simboleggiare l’enormità dell’ostacolo affrontato. Ma come nel tennis, la partita si può sempre ribaltare. Punto dopo punto, quindici dopo quindici.
La forza della vulnerabilità
Garbin non nasconde nulla: né il dolore né la fragilità. Al contrario, è proprio da qui che nasce il senso più profondo del libro. “La vera forza parte dalla vulnerabilità”, ha spiegato, aggiungendo che chi guida una squadra sente spesso il bisogno di mostrarsi forte, ma è nel riconoscere le proprie debolezze che si trova la forza più autentica. Una riflessione potente in un mondo che ancora fatica a considerare la fragilità come parte integrante dell’essere umano.
Federica Cocchi, coautrice del volume, ha raccontato come lavorare con Tathiana sia stato un cammino di crescita condiviso: “Ha imparato a parlare di fragilità e a capire che non è una debolezza. Ognuno di noi ha risorse nascoste che emergono nei momenti più difficili”.
La squadra, la famiglia, l’amore
Se c’è un filo rosso che attraversa tutto il racconto, è quello dell’unione. Il percorso di Garbin, pur partendo da un’esperienza individuale, si apre a una dimensione collettiva e universale. Come recitava la poesia minimalista di Muhammad Ali citata durante la presentazione: “Me, we” – io, noi.
Garbin parla con gratitudine delle persone che le sono state accanto: la sua squadra, la famiglia del tennis, e soprattutto le due donne centrali della sua vita, la madre e la moglie Ire. “In quei momenti serve anche chi sa stare in silenzio”, ha detto con la voce rotta dall’emozione, riconoscendo come il sostegno silenzioso, empatico e costante sia stato decisivo per superare la tempesta.
Un esempio per chi lotta
Il libro non è soltanto una testimonianza, ma anche un messaggio. È un invito a non arrendersi, a non avere paura di mostrarsi fragili, a trovare nel proprio percorso personale una forza capace di ispirare gli altri. Garbin ha voluto scrivere per chi soffre, per chi combatte ogni giorno contro le proprie difficoltà, nella speranza che il suo racconto possa offrire una luce nel buio.
Un memoir autentico, scritto con sincerità e coraggio, che va ben oltre la cronaca sportiva. Una storia che tocca corde profonde e che ci ricorda che, proprio come in campo, la partita non è finita finché non è finita. E che anche dal fondo si può sempre risalire.