Un “vamos” di troppo

Allegra Hanlon stava per concludere la sua fatica nel quarto di finale del torneo di Kalamazoo, nel 2013, circuito della USTA, quando è stata sanzionata per aver accompagnato un punto vinto dall’esultanza ispanica che ha reso famoso Rafael Nadal: “vamos”. La notizia, se tale è ancora, è datata. Oggi però è rimbalzata attraverso vari siti all’attenzione degli aficionados.

Una buona occasione per riflettere sul tema della condotta sportiva e dell’interpretazione del regolamento. Quello della USTA infatti è molto chiaro in proposito, e quindi c’è poco da discutere circa la correttezza del provvedimento preso dal giudice di sedia tre anni fa. Semmai è interessante fare qualche considerazione sulla interpretazione dello stesso e magari anche sulla ratio che lo ispirato. Circa questo secondo punto c’è da sottolineare che l’uso di una lingua diversa, magari anche poco frequentata, potrebbe risultare offensivo nel confronti dell’avversario, dell’arbitro, del pubblico. Una scelta di controllo dell’etica insomma, e non una di tipo sciovinista, per intenderci.

D’altra parte però, il mondo globalizzasto include anche e soprattutto il tennis, il cui campo di internazionalità si è allargato sempre di più in questi ultimi 20 anni, toccando tennisti che vengono praticamente da ogni parte del mondo. Di questo, in sede di interpretazione del regolamente, si dovrebbe tenere debitamente conto: perché sanzionare una esclamazione come “vamos”, sdoganata da decine di tennisti spagnoli, con a capo Rafa Nadal, uno dei simboli di questo sport? Si tratta di una applicazione decisamente pedante del regolamento, barocca per certi versi, nonché ridicola, perché colpisce una tennista che non aveva affatto intenzione di offendere la sua avversaria, ma solo di festeggiare un punto alla maniera del suo idolo.

Altro paio di maniche sarebbe vietare l’esultanza in generale. Ma che senso avrebbe? La tensione sportiva deve venire fuori, ovviamente entro i limiti del buon senso, del rispetto, della misura. In questi anni, è pur vero, tutto questo è andato perso guardando tennisti che provocano il pubblico, gli avversari, alludono. Ma nel calderone dell’etica sportiva, allora andrebbe considerato anche l’abbigliamento, il taglio di capelli? Insomma, tutto quello che può rappresentare una manifestazione “sopra” le righe. Con quale obiettivo? Una sorta di revanscismo dei “gesti bianchi”, tornando ai tempi in cui l’ingresso di un membro della casa reale a Wimbledon comportava che i tennisti in campo lasciassero cadere le loro racchette in terra, interrompendo il palleggio per unirsi al pubblico che si alza in piedi?

Restiamo seri, e con i piedi per terra. Offendere non si può e non si deve. Il regolamento su questo è chiaro, tutela già il decoro di uno sport che ha ben altri problemi (leggi “match-fixing”) etici, che per ora, vengono affrontati in modo podalico e superficiali. La USTA farebbe bene a formare i suoi giudici di sedia ad applicare in modo intelligente il regolamento, evitando di regalare notizie di tal fatta.

Alberto Maiale

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