Con Lleyton Hewitt se ne va un pezzo di storia del tennis

Un rovescio finito largo, con lo sguardo ad accompagnare quell’ultima pallina scappare via prima della fine. Con quella pallina se ne va Lleyton Hewitt dal circuito professionistico di tennis, con tanti bei ricordi, per noi e per lui, ed un incondizionato affetto tanto per il giocatore quanto per l’uomo.

Quasi 20 anni di carriera sempre in giro per il mondo, su quei campi che gli hanno regalato tante soddisfazioni: 30 successi ATP, di cui 8 nella sua amata Australia, tra cui anche 2 successi Slam – oltre al successo nel 2000 in doppio agli U.S.Open in coppia con Max Mirnyi – che gli valsero la prima posizione del ranking ATP ed il record assoluto di giocatore più giovare a raggiungere tale traguardo, oltre naturalmente al capitolo Davis Cup, con i due successi del 1999 e 2003, le due finali 2000 e 2001, ed i vari record che lo elevano a leggenda assoluta del tennis aussie, con le 16 edizioni a cui ha preso parte, le 72 presenze e le 54 vittorie di cui 40 in singolare nella sua lunga e strabiliante cavalcata.

Se si guarda indietro, sono obiettivamente pochi i giocatori che sono stati considerati i migliori in assoluto al momento dell’addio al professionismo, e con le epoche che cambiano e la storia che si scrive piano piano, il numero di questi ultimi tende sempre a diminuire. Hewitt ha lasciato il campo dopo il classico canto del cigno, dopo anni con qualche vittoria ma ben lontano dai primissimi posti del ranking, eppure il suo ruolo è stato estremamente importante per il mondo del tennis, per il significato della lotta puramente sportiva e della grinta di chi è ed è sempre stato un professionista a tutto tondo.

506020976

Pur non essendo il fenomeno assoluto, senza un tocco magistrale o l’estro dell’artista, Hewitt può essere considerato il giocatore più importante nella fase di transizione del tennis a cavallo tra i due secoli: tra Sampras e Agassi, e ancora Federer, Nadal e Djokovic, cosa si può trovare nell’australiano per permettersi di definirlo un così fondamentale elemento nel tennis moderno?

Hewitt è riuscito, anche grazie alle scarse speranze del suo periodo giovanile, a costruirsi uno stile di gioco come mai si era visto prima di allora, dove l’attacco si sovrapponeva indissolubilmente alla difesa, collegando il gioco attraverso lo studio ed il successivo miglioramento di ogni possibile punto debole, trasformando ogni situazione in quella per lui migliore e vincente.

Risposte eccellenti, una sbalorditiva solidità e la grande capacità di conquistarsi punti già persi tramite lob millimetrici e passanti fulminanti.

Come ha dichiarato il commentatore di ESPN Darren Cahill al Wall Street Journal, con la successiva conferma di Federer, “Lleyton Hewitt probabilmente è il principale responsabile del cambiamento che ha portato Roger Federer ad essere il campione che vediamo giocare oggi.”

Hewitt vinse 7 dei primi 9 scontri diretti, riuscendo dove gli altri facevano estrema fatica, grazie alle sue caratteristiche di “all-court player” ed alla sua capacità di elaborare strategie nuove in grado di mandare in confusione anche l’avversario più forte e tecnicamente superiore. Basti pensare, infatti, il dato relativo alla finale degli U.S.Open del 2001 – anch’esso riportato da Tom Perrotta del WSJ –, con il runner up Pete Sampras che prima della finale aveva conquistato la cifra spaventosa di 87 giochi consecutivi al servizio, cedendo ben 6 volte la battuta nella finale che ha poi incoronato Hewitt come vincitore finale del torneo.

Uno sguardo al suo glorioso passato, tuttavia, non può far cambiare la traiettoria di quell’ultima pallina e delle tante altre che magari sarebbero state giocate di seguito: è comunque nella cornice più magica e suggestiva che potesse esserci, la “sua” Rod Laver Arena, che si è consumato l’ultimo match di “Rusty”, in occasione della sua 20esima partecipazione ad un torneo che l’ha visto vicino alla vittoria nel 2005 – quando si trovò avanti per 6-1 prima di uscire sconfitto in finale dal russo Marat Safin – e che oggi lo ha onorato come pezzo di storia del tennis Down Under.

L’avversario, David Ferrer, era forse uno di quelli “giusti”, lottatore come Hewitt e veterano del Tour, che subito dopo la vittoria ha rispettosamente lasciato il centro del campo al suo collega per un saluto che ha commosso tutti, tra presenti e telespettatori.

E’ sbagliato provare a fondere due universi così differenti come calcio e tennis, vista anche la loro natura totalmente opposta, ma per chi ama questi due sport due momenti ben precisi si sono sovrapposti in uno solo: l’addio al tennis di Lleyton Hewitt e quello al calcio dello storico capitano del Liverpool Steven Gerrard.

La figura fiera in mezzo al campo, lo sguardo malinconico ma il sorriso contagioso di chi ha fatto della propria passione una ragione di vita oltre che una realizzazione personale, con tutta la gente intorno a portare i propri omaggi ed i figli in braccio e per mano, incapaci di comprendere a fondo l’importanza di quel momento ed il significato del commiato dall’amore di tutta una vita.

Tra poche ore quello che era oggi diventerà ieri, e come ogni altro giorno sarà premura del tempo trasformare l’emozione in ricordo; Lleyton, tuttavia, non passerà mai, tanto per quello che ha fatto nella sua lunga ed onorevole carriera, quanto per tutto ciò che ha lasciato a chi realmente ama il tennis in ogni sua più piccola e sentimentale forma.

Rusty, a quasi 35 anni suonati, esce di scena da giocatore, ma come rimarrà negli occhi di tutti, forse un giorno tornerà per trasmettere ciò che lo ha reso grande ai nuovi talenti del tennis australiano, perché morto un Papa se ne potrà anche fare un altro, ma di Rusty così ce ne sono stati, e purtroppo ce ne saranno, pochissimi.

Exit mobile version