Grazie lo stesso, Roger

Uno sguardo rogeriano su una semifinale in cui Federer non riesce a opporsi al destino e a un Djokovic troppo solido.

Di fatto, la partita è durata un set. Un folle primo set in cui Federer ha strappato due volte il servizio a Novak e si è mangiato tre palle del 5-1, ha servito per il set perdendo la battuta a zero, infine si è arreso in un tiebreak senza storia (7-1 per il serbo, sornione come sempre, capace di sopravvivere a tutto e di calare le briscole nei momenti decisivi). A Roger va il premio della critica, perché al netto della vistosa difficoltà negli spostamenti verso destra – impossibile capire quanto pesi il dolore e quanto la paura di peggiorare il danno – ha giocato un tennis immaginifico, a Nole invece va il set. Come a Wimbledon, tolta l’erba e aggiunto un infortunio. Vi risparmio la sofferenza inutile dei miei appunti game by game.

Roger si assenta per un medical timeout, il cielo sopra Melbourne si accende di un rosso splendido e tragico che preclude alle tenebre di una lenta agonia. Forse non c’è in gioco più nulla se non la dignità, ma per la dignità vale sempre la pena di lottare.

Roger annulla palle break, si batte e si sbatte ma in risposta non ottiene più nulla se non gemme isolate di rara bellezza. Sul 4-4 prova ad aggredire il servizio di Nole rispondendo con piedi ben dentro il campo, ma Novak rintuzza alla grande – le titubanze iniziali sono alle spalle da un pezzo – e poi strappa la battuta al re per il 6-4.

Nel terzo set siamo qui soltanto ad aspettare la discesa della ghigliottina. È un calice amarissimo, ma non c’è dubbio che per Roger vada bevuto. Lui in cambio dispensa lampi di classe. Con altri potrebbe bastare, ma non con questo Nole fiducioso, freddo e centrato. Il treno è passato, lo sappiamo tutti. Novak, nel ruolo del boia quasi dispiaciuto (da premio oscar) arpiona il break del 4-2 con un dritto sulla riga spietato come una lama. Roger prova a reagire, va 0/30 con due miracoli, ma il tempo dei miracoli è evidentemente trascorso – oggi non si può reggere una maratona, oggi la si poteva forse portare a casa con uno schiaffo iniziale e poi chissà, peccato aver sciupato quell’opportunità – e Djokovic uccide ogni speranza portandosi a un passo dal traguardo (5-2). Roger fa il 5-3 e manda il gran nemico a servire per il match. Risale da 30/0 a 30/30, ma l’impressione – da tempo – è che faccia punto solo su invenzioni pazzesche perché Nole è in pieno controllo e non regala più niente. Arriva il match point e arriva l’errore che decreta per lo svizzero la fine di quest’avventura australiana.

Sì, non è facile accontentarsi di un grazie lo stesso, ma è anche l’unica cosa sensata da fare. Federer è sceso in campo e ha dato tutto nonostante l’infortunio, consapevole di avere pochissime possibilità di vittoria, l’ha riconosciuto anche Djokovic con grande rispetto.

Certo, rimangono i rimpianti, perché si vorrebbe sempre vincere, perché dopo Wimbledon 2019 soltanto uno slam poteva aiutare a mandare giù il boccone e per altri millemila motivi, ma in fondo il risultato non è l’unica cosa che conta.

In questa settimana triste per lo sport, segnata dall’immane tragedia della scomparsa di Kobe Bryant insieme alla figlia Gianna e ad altre sette persone, a maggior ragione non possiamo fermarci al mero verdetto del campo, ma vogliamo guardare a valori più alti e profondi.

E allora sì, ha davvero senso dirti grazie lo stesso Roger, hai perso ma hai reso onore e amore al gioco, agli avversari e al pubblico.

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