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A lezione dal genio svizzero

Quella di stanotte si prospettava la partita più avvincente nell’affascinante contesto delle palme esotiche ed il caldo umido nel deserto californiano di Indian Wells, primo Master 1000 dell’anno. In scena, in un insolito e prematuro scontro negli ottavi di finale, la rivincita dell’epico esodo del pittoresco Slam australiano tra Federer e Nadal. Una sfida chiaramente pervasa dalla seduzione emotiva che caratterizza ogni incontro tra questi due fenomenali campioni, mista ad una giustificabile e quasi nostalgica speranza di una replica del titanico scontro australiano.

Purtroppo per il gladiatore maiorchino, l’attesissima nuova battaglia della coinvolgente rivalità si è fatalmente tramutata in una vera e propria lezione di tennis del maestro svizzero, che pare avere finalmente trovato, nella parte conclusiva della sua incredibile carriera, la chiave psicologica per stanare il rivale di sempre Rafa Nadal. Roger si è reso fautore di una prestazione magistrale caratterizzata da una condotta psico-fisica, che richiama romanticamente alla memoria quella degli anni d’oro; un match dominato dal principio col break in apertura, e portato a compimento con la stessa intensità, grinta, lucidità, brillantezza fisico-tecnica che denotano la clamorosa rinascita e l’abilità unica dell’elvetico di sapersi reinventare rendendosi stagione dopo stagione sempre più competitivo. Federer fin dall’inizio mette in mostra una trama di gioco dal ritmo soffocante, un pressing che non lascia spazio a tentennamenti o timori, peculiari di un tempo, che sembrano mirabilmente essere stati spazzati via, soppiantati da inscalfibili certezze e fiducia rinverdita.

Il servizio, arma letale per varietà e costanza, fondamentale per sostenere gli spunti offensivi sempre più arrembanti; il dritto inside-out solido, letale, punto di riferimento del piano tattico d’attacco; il rovescio musicale col quale domina la diagonale sinistra con celeri ed improvvisi vincenti che lasciano fermo il povero Nadal che appare frastornato e privo di contromisure valide per arginare il FedExpress, determinato e lucidamente spietato, permeato dalla consueta eleganza e raffinata compostezza che alludono quasi all’inesistenza di uno sforzo, e alla soave leggerezza sul campo.

La luce di Federer continua straordinariamente a brillare negli insaziabili occhi degli appassionati, che hanno potuto assistere ad una performance romanzesca della leggenda elvetica, chiara manifestazione dell’ammirevole ostinazione di questo fenomeno, che a trentasei primavere suonate non perde la capacità ineguagliabile di stupire, di resistere strenuamente allo scorrere impietoso del tempo, di opporsi ad un orologio che dopo i sei mesi di convalescenza sembra essersi incredibilmente fermato, e di ribellarsi ad un temuto tramonto che non pare più così minaccioso.

Antonio Mulone

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