La prima parola che mi viene in mente cercando di iniziare questo verboso articolo è: scusate. Scusate tutti perché le mie passate previsioni, come spesso accade, sono state smentite dai crudi fatti. Nessun forfait di Roger Federer e nessuna vittoria finale di Novak Djokovic.
Infatti lo svizzero, dopo breve riflessione, ha confermato e smentito le fosche previsioni sul suo ennesimo forfait a Parigi. Le sue quotazioni sono in ascesa, ma è ancora presto per dire che il Federer attuale sia un valido pericolo per l’inavvicinabile belgradese ammirato negli ultimi tempi.
Anche Nadal ha sciolto le riserve e si presenta al via con una condizione incognita perfino a se stesso. Per la prima volta dal 2015 i tre Immortali si sfideranno nel torneo indoor parigino, una gradita anomalia per una competizione melanconicamente decaduta negli ultimi anni a causa della ragione opposta, vale a dire la penuria di grandi nomi al via o una presenza poco più che di facciata dei migliori con la testa già a Londra e alle Atp Finals.
Gli altri aspiranti possono solo sperare di giocare in questa settimana il tennis della vita o che, al limite, la voracità di gloria e vittoria del magico trio sia stata saziata nel corso della stagione. Quello che si potrebbe dare quasi per assodato è che il detentore del titolo Jack Sock, reduce da una stagione fallimentare in singolare, ha meno possibilità di riconfermarsi di quante siano quelle di vedere Nick Kyrgios diventare un tennista compito, decoroso, educato, concentrato, diligente, solido, accurato…e penso che basti così.
Non resta che iniziare dal principio. L’esordio di Djokovic è double face: contro Sousa gioca un primo set falloso e timoroso, sembra essersi imbattuto di nuovo negli antichi dubbi esistenziali di qualche mese prima. Il portoghese si erge fino a set point, ma Nole respinge l’assalto del nemico e chiude il parziale 7-5, a fatica . Nel secondo il serbo si scuote il torpore di dosso e liquida la faccenda con un perentorio 6-1.
Arriva il mercoledì del gran debutto di Rafa e Roger. La congiunzione astrale vuole che, guarda caso, sia il 31 ottobre e forse per questo si trasforma in una serata da incubo horror: Nadal non scende in campo per problemi agli addominali e lascia intendere di poter anche chiudere la sua stagione qui. Raonic, reduce dalla dura lotta contro l’altro mutuato di lungo corso Tsonga, alza bandiera bianca per un fastidio al gomito e così Federer inizierà il suo torneo solo di giovedì, agli ottavi, così come il suo avversario Fabio Fognini che approfitta del terzo forfait di giornata, quello del magiaro Fucsovics. Una vera e propria ecatombe degna di Halloween, la “festa dei morti viventi”. E si sa che a novembre i nostri amici pelotari, con un tennis che di anno in anno è sempre più dispendioso fisicamente e logorante mentalmente, sono più morti che vivi. Destava qualche perplessità anche la condizione di Coric, che si era ritirato nei quarti di finale a Vienna, ma fortunatamente almeno lui gioca e vince abbastanza agevolmente contro Medvedev.
Questa mattanza ufficializza il ritorno al Numero Uno di Novak ben prima del previsto e con il minimo sforzo, evento impensabile ad inizio stagione e ci offre due dati statistici degni di nota: l’ultimo Masters 1000 in cui Federer, Nadal e Djokovic sono scesi in campo tutti insieme è stato Indian Wells 2017 e non era mai successo prima che nel corso di una singola annata sia Roger che Rafa che Nole si siano issati in vetta alla classifica mondiale.
Negli ottavi di finale Djokovic prosegue la sua marcia con scoraggiante facilità, il bosniaco Dzumhur nulla può ed è tra l’altro costretto al ritiro all’inizio del secondo set. Il buon Cilic ci si mette d’impegno per far restare in partita il più a lungo possibile un impalpabile Dimitrov, ma alla fine, quasi suo malgrado, è costretto ad imporsi in due soli set. Il cosacco Khachanov sembra più centrato e costante del solito, ingaggia una godibile battaglia a suon di bordate di servizio e di dritto con Long John Isner e alla fine la spunta di un soffio. Tra Pioppo Zverev e Gnomo Schwartzman c’è una differenza di almeno mezzo metro d’altezza (credetemi!), Diego è encomiabile nel suo sforzo di reggere l’urto del russo di Germania, ma la sua tenacia è vana: passa Sascha, abbastanza agevolmente. Giacomo Sock, tornato sul luogo del delitto, compie l’eroica impresa di vincere due partite di fila nello stesso torneo come non gli era ancora successo quest’anno: si vede che l’aria di Parigi gli fa bene e affrontare Jaziri al posto di Nadal non è un dettaglio di poco conto. Il match tra giovanotti Coric-Thiem promette tanto, è un incontro equilibrato, ma qualitativamente non eccelso; dopo un lungo tira e molla, con pregevolezze e titubanze egualmente spartite tra i due, l’austriaco prevale al terzo set. L’incontro clou della giornata, almeno per noi italiani, ma non solo, è Federer-Fognini. Roger parte a razzo e va 4-1, poi rallenta e Fabio risale 5-3, il set si chiude 6-4 per lo svizzero che alterna come al solito grandi colpi a diversi errori non forzati. Nel secondo parziale la partita prosegue frenetica, pochissimi gli scambi, quando Federer sembra poter andare in difficoltà il match svolta e si decide in un lampo, Fognini concede due break grossolanamente e la pratica si chiude per il Cigno elvetico. Infine in tarda serata Nishikori si prende una gustosa rivincita su Anderson che lo aveva battuto a Vienna, una curiosa inversione di ruoli con il nipponico granitico al servizio: non concede nemmeno mezza palla break allo Struzzo. Kei infila ripetutamente il sudafricano in risposta, lo sovrastata con perfette geometrie da fondo e porta a casa il match strappandogli la battuta una volta a set.
Almeno tre dei quattro quarti di finale sono di nobile lignaggio e ci si augura di assistere ad un grande spettacolo. Il primo match tuttavia delude le aspettative: si assiste ad uno psicodramma di Sascha Zverev che attanagliato da tensioni immotivate non entra mai in partita, Khachanov domina in lungo in largo e gli lascia appena tre games in due set. Si nota chiaramente come per tutto il corso dell’anno il giovane tedesco abbia sofferto una pressione eccessiva quando si è trovato di fronte ai suoi coetanei anche se, paradossalmente, è lui che dovrebbe entrare in campo a cuor leggero essendo l’unico della nuova generazione che ha già un palmares di tutto rispetto. Sock e Thiem danno vita ad un incontro duro ed equilibrato che si risolve con un triplice 6-4: un solo set per l’americano, due per l’austriaco. Dominic compie un passettino in avanti nella sua carriera raggiungendo la sua prima semifinale in un Masters 1000 al di fuori della terra rossa.
Il piatto forte arriva in serata: Djokovic-Cilic è un match di alto livello con il croato che si mostra da subito centrato e solido, spinge da fondo, serve bene e costringe Nole ad un gioco per lo più difensivo in cui comunque si destreggia a meraviglia. Ogni game è una battaglia e si allunga spesso fino ai vantaggi, il novello Numero Uno del ranking sembra avere più margine, tuttavia è Cilic il primo che strappa il servizio all’avversario sul 4-4 per poi chiudere a zero l’ultimo gioco alla battuta. A dimostrazione che la fiducia è totalmente ritrovata, Novak non fa una piega e si porta in un amen sul 4-1 nel secondo set, potrebbe allungare ancora uccidendo il parziale, ma Marin resiste egregiamente. Pur non brillando troppo e manifestando a tratti segni di nervosismo, Djokovic conquista anche un secondo break e riesce a chiudere 6-2. All’inizio del set decisivo tutto lascia presagire che l’inerzia sia dalla parte di Nole, il serbo disputa un game titubante e Cilic gli scippa la battuta grazie ad un passante incrociato che bacia la riga. A quel punto Marinone potrebbe allungare, ma si esibisce in una dei suoi periodici momenti di amnesia tennistica in cui produce solo “ciliciate” disastrose: controbreak e 2-2. Sul 3-3 Nole rischia grosso, ma si salva con un colpo in allungo degno di tiramolla, una prodezza di altrettanto valore occorrerebbe a Cilic quando sul 4-3 viene infilzato come un tordo dall’arciere Djokovic che concretizza così la seconda palla break offertargli. Siamo all’epilogo, Nole chiude d’autorità 6-3. Per incertezza del risultato e qualità espressa è stato fin qui il miglior match del torneo. Congratulazioni ad entrambi, ma alla fine quello che vince è sempre Djokovic.
Federer-Nishikori invece si incanala su binari incerti, entrambi partono guardinghi, timorosi e fallosi: Roger alla battuta, Kei da fondo. L’equilibrio si spezza sul 4-4: una risposta di rovescio che sembra un tracciante e un paio di dritti finalmente degni di Sua Maestà scatenano l’ovazione del pubblico, Kei è impotente e deve arrendersi allo svizzero, Federer grazie a questi picchi sublimi si porta in vantaggio aggiudicandosi il primo set; di solito questo è il momento in cui concede qualcosa agli avversari e invece Nishikori non reagisce e va spegnendosi sempre più come una candela ridotta al lumicino . Il pubblico in tribuna è deliziato da due stop volley al bacio del Cigno e da un dolce tocco di puro polso di contro balzo che incrocia la palla facendola morire là dove il nipponico non potrà mai arrivare, colpi che tutti gli altri possono solo immaginare nei loro sogni più arditi. Roger appare più propositivo e centrato, ma per dovere di cronaca bisogna dire che Nishikori, tra qui e Shanghai, ha offerto le prestazioni peggiori degli ultimi mesi, in cui a giocato un tennis di spessore, proprio contro lo svizzero. Il break nel secondo arriva in apertura, Roger potrebbe dilagare, ma si accontenta di terminare con l’identico punteggio del primo set: 6-4. Un incoraggiante passo in avanti, il campo veloce e le condizioni indoor sono un toccasana per ovviare ai suoi ben noti alti e bassi .
Le semifinali propongono dei duelli ricchi di fascino: due giovani speranze da una parte, due vecchie certezze dall’altra.
Khachanov e Thiem sono alle prime esperienze di questa importanza (più per il russo che per l’austriaco, a dir il vero), osservando la notevole ampiezza dei gesti preparatori di Dominic sul rovescio e di Karen sul dritto si ha l’impressione di ammirare due “sbracciatori” che rivaleggiano in un giro di valzer a distanza mentre si sfidano sulla diagonale in ripetuti palleggi. Batti e ribatti, la potenza e la ferocia del Cosacco hanno la meglio sulla solidità e la profondità del Boscaiolo, la rottura dell’equilibrio arriva sul fatidico quattro pari e il set va in archivio con il conseguente 6-4. Il primo parziale era stato molto avaro con i ribattitori, al contrario in avvio di secondo ci sono ben tre break consecutivi, brutta cosa per Thiem che due se li aggiudichi il suo avversario il quale poi procede all’allungo definitivo incamerando altri quattro games senza colpo ferire. Thiem concede una resa senza condizioni e si mette fuori gioco praticamente da solo con errori a non finire, Khachanov si conquista così con pieno merito l’occasione di incidere per la prima volta il suo nome nei libri di storia del tennis.
Nella storia del tennis invece Federer c’è già da un bel po’ e direi come protagonista principale di un certo rilievo. Quest’oggi ha di fronte una montagna da scalare di nome Djokovic, un test che non permette di barare. Il match non tradisce le aspettative, Roger parte aggressivo e pimpante, sa bene quello che deve fare: impedire a Nole di tessere le sue ragnatele letali e di asfissiarlo in lunghi palleggi da fondo. Attacca diligentemente, sia con il classico schema servizio-dritto, sia scendendo a rete appena possibile, si impegna decorosamente in scambi difensivi denotando una condizione atletica in progresso. Nole dal canto suo pressa costantemente col suo gioco lineare e profondo togliendo il fiato all’avversario. I games passano regolari e senza sussulti sebbene la qualità sia alta, man mano che il match prosegue si ha però sempre più la chiara impressione che chi difende, cioè Novak, stia attaccando e chi attacca si stia difendendo; a riprova di ciò c’è un game infinito su servizio di Federer che l’elvetico stenta assai a incamerare. Si arriva al tie break, il primo a prendere vantaggio è Roger che sale 4-2, poi qualche grave titubanza e la robusta concretezza di Djokovic ripristinano l’equilibrio. Su una seconda palla tremolante di Nole, Roger si lascia colpevolmente sorprendere e un successivo colpo sbilenco che finisce largo decreta la vittoria del primo set per il serbo.
Nel secondo set Federer spinge con la battuta e cerca di offrire variazioni tali da mettere in crisi la regolarità di Djokovic, ma quel diavolaccio di super Nole prosegue a martellare senza tentennamenti. Le statistiche ci dicono che Federer è in vantaggio su Djokovic solo negli scambi inferiori ai tre tiri, mentre è in netto ritardo su quelli medi e lunghi. Si affievolisce il servizio cosicché i punti gratuiti in battuta diventano sempre più rari e le risposte di Nole sono rasoiate che fanno davvero male, durante il duello da fondo lo svizzero è in affanno, la palla si allontana sempre più dalla sua racchetta, spesso è irraggiungibile. Nonostante questo Federer non molla e Djokovic non riesce a portare il set decisamente dalla sua parte. Si arriva al 6-5 sul servizio del serbo e accade l’imprevisto: tre errori di Nole, due in manovra e uno gratuito, e un lungo linea vincente di Roger evitano un secondo tie break e lo svizzero si aggiudica un set insperato. Djokovic è costretto ad un prolungamento del match che forse non aveva messo in preventivo.
L’esito del secondo parziale ribalta la situazione psicologica dei due contendenti: ora Federer sembra più leggero e sereno, per contro Djokovic è nervoso e contratto. Il gioco si fa scarno, il lato emotivo prende il sopravvento. Federer respinge l’assalto al break in due occasioni, in particolare sul 4 pari sembra sull’orlo dell’abisso, ma si salva ancora; in questo frangente la complicità di Nole è determinante: sparacchia fuori due dritti vanificando un paio di colpi precedenti da ovazione. Si arriva così ad un altro tie break in cui però l’incertezza si scioglie fin troppo presto: ad un bel lungo linea di Federer seguono ben sei punti consecutivi di Djokovic equamente divisi tra vincenti impeccabili ed errori di Roger. Il pubblico ammutolito sognava l’impresa che sfugge sul più bello, la folla si ridesta vanamente quando l’elvetico mette a segno un ace e una volée di rovescio, ma il terzo match point è quello fatale: dopo uno scambio coscienzioso e ricco di tensione Federer affonda il rete il rovescio e Djokovic può alzare le braccia al cielo. Un grande match interpretato magnificamente dai due protagonisti: Federer ci ha messo l’anima pur di prevalere, Djokovic ha rischiato, ma alla stretta finale la sua maggiore tonicità e freschezza hanno avuto decisamente la meglio. Dopo tre ore di battaglia ha vinto chi aveva più tennis sulle braccia e sulle gambe. Mi auguro di assistere ad un’altra sfida stellare tra i due già a Londra.
E’ stata la finale anticipata ? Il povero Khachanov sarà la vittima sacrificale del cannibale Djokovic ? Dalle prime battute della finale sembrerebbe proprio di si: Nole tesse la sua tela da fondo, Karen è contratto e commette qualche errore di troppo. La battuta del giovanotto di Mosca non fa male come al solito e Novak risponde a tutto, sul 2-1 il russo affonda al servizio fino allo 0-40, recupera, ma alla quarta palla break deve cedere. Potrebbe essere l’inizio della fine e invece è Nole stavolta che sbaglia più del dovuto e fa rientrare l’avversario in partita concedendo immediatamente il contro break. Si va avanti senza sussulti con rapidi games classicamente da incontro indoor, da ambo i lati gli errori non forzati sono più numerosi dei colpi vincenti, il match si mantiene in equilibrio fino al 5 pari. Djokovic è molto falloso nel suo turno di battuta, dopo uno spettacolare scambio di lob e contro lob mette malamente lungo un dritto non impossibile e dopo uno scambio durissimo un passante di rovescio impeccabile consente a Khachanov la possibilità di servire per il primo set. Il russo non si lascia sfuggire l’occasione, sente la pressione e concede i primi due quindici a Nole, ma poi si esibisce in quattro esecuzioni che lasciano Novak impotente e incolpevole: dritto che sorvola la linea, volée definitiva, altro dritto che provoca un cratere in campo, servizio vincente. 7-5 conquistato d’autorità.
Djokovic risente un po’ della maratona disputata in semifinale, sembra deluso, ma non nervoso, ha in volto la tipica espressione di chi si rende conto che il match gli sta sfuggendo di mano, ma anche la serenità di chi, dopo gli ultimi mesi, può affrontare una sconfitta con relativo fatalismo. Nel secondo turno di servizio è di nuovo in pericolo, si salva per due volte, ma alla terza occasione deve abdicare ancora: Khachanov si esibisce in un altro, ennesimo, passante stretto e nel punto successivo offre a Nole una risposta bassa e insidiosa che il serbo inutilmente scava sotto con la racchetta, ma il suo tentativo di recupero finisce miseramente in rete. Khachanov non sembra essere colpito dalla “paura di vincere” né dal vizio congenito di quasi tutti i giovani virgulti: la mancanza di killer-istinct. Serve invece alla grande, Djokovic intravede un minimo spiraglio di rientrare nel match sul 4-2, ma le bordate del Cosacco lo chiudono irrimediabilmente. Rischia il doppio break, con coraggio, buttandosi a rete fin troppo spesso probabilmente perché ha poca birra ancora in corpo riesce ad evitare un passivo più pesante. Si arriva al 5-4, Khachanov è ad un passo dall’impresa: uno scambio duro sulla diagonale rovescia gli regala il primo punto, Djokovic con l’orgoglio del campione si concede il lusso di un contropiede micidiale che fa inciampare e ruzzolare in terra il mastodontico Karen, ma è l’ultimo lampo del serbo. Servizio e volèe incrociata, servizio e dritto incrociato, dritto fuori: questi sono gli ultimi tre punti dell’incontro che consegnano il titolo di Parigi-Bercy a Karen Khachanov.
Vittoria a sorpresa, ma meritata perché è stato il migliore in campo. Questo ragazzone, la cui poco invidiabile caratteristica fondamentale fino a poco tempo fa era quella di tirare a tutto braccio ogni palla finendo inevitabilmente per vederle atterrare quasi sempre fuori dalle linee, ha trovato una maturità forse inaspettata ed è il secondo giovane dopo Zverev che inscrive il suo nome in un Masters 1000. Altri arriveranno dopo di lui, è inevitabile. C’è da augurargli che il battesimo odierno sia solo la prima perla di una lunga serie di successi. Per ora Khachanov può concedersi un ritemprante riposo perché a Londra non ci sarà, Djokovic si. Questa sconfitta fa poco male. Per il titolo di Maestro 2018 resta il chiaro favorito.
Nicola Vaselli