Casper Ruud ha imparato a trasformare le sconfitte in opportunità. Dopo la pesante battuta d’arresto subita agli Internazionali d’Italia contro Jannik Sinner, persa per 6-0, 6-1, il norvegese ha reagito in modo sorprendente. A differenza di molti colleghi che si lasciano travolgere dal fallimento, Ruud ha saputo sorridere e riflettere: «È stato più divertente che altro, anche se ho perso così nettamente. Guardi l’avversario e pensi: “Questo è di un altro livello”».
Questa reazione, per alcuni segno di scarsa mentalità vincente, è in realtà la chiave di un percorso di crescita personale e professionale. Ruud non è un tennista qualunque: è stato numero due al mondo, ha raggiunto tre finali Slam (due a Parigi e una a New York), ha vinto 13 titoli e recentemente ha conquistato il suo primo Masters 1000 a Madrid. Dietro questi risultati non c’è solo talento, ma soprattutto consapevolezza e lavoro su sé stesso.
Ruud ha spesso parlato apertamente delle proprie difficoltà emotive, in particolare durante l’adolescenza e i primi anni da professionista. «Quando ero giovane lanciavo la racchetta, urlavo, piangevo. Mi lamentavo di tutto», ha raccontato. «Mi sentivo come in una ruota per criceti che non portava da nessuna parte».
La svolta è arrivata quando ha deciso di cercare aiuto, rivolgendosi a uno psicologo sportivo. Un gesto che per molti sportivi può sembrare un segno di debolezza, ma che per lui si è rivelato fondamentale: «Non avrei mai pensato di aver bisogno di aiuto in quel modo, ma ho capito subito quanto mi facesse bene. Aprirmi è stata una mossa intelligente e ne sono orgoglioso».
Oggi Ruud affronta le pressioni con maggiore lucidità. Il confronto continuo con i grandi del passato – Federer, Nadal, Djokovic – ha lasciato cicatrici nella sua generazione, ma ha anche insegnato molto: «Cresci con un enorme rispetto per loro. Poi ti ritrovi a sfidarli e pensi: ‘Cosa posso fare che loro non abbiano già visto?’ Forse la barriera è mentale. Ma noi del 2000 giochiamo meglio a tennis».
Oltre al tennis, Ruud coltiva passioni e interessi che gli permettono di staccare e ricaricare le energie. Ama il golf – ha in programma una partita con Andy Murray – e ascolta musica, con un’adorazione particolare per The Weeknd nata per caso, durante un passaggio in auto dopo un allenamento. Questi piccoli momenti, apparentemente marginali, sono in realtà il segreto del suo equilibrio.
Non manca anche una dimensione più impegnata. Ruud non si è tirato indietro quando si è trattato di esprimere opinioni su politica e sportwashing, rifiutando di partecipare a tornei in Arabia Saudita. La sua sincerità gli ha attirato anche qualche critica in Norvegia, ma non per questo ha scelto il silenzio: «Viaggiando e conoscendo culture diverse ho sviluppato interesse per certe tematiche. Cerco sempre di dare risposte oneste».
Ruud non ha il carisma esplosivo di Alcaraz né la potenza spietata di Sinner, ma ha qualcosa che pochi coetanei possono vantare: la capacità di rimanere centrato anche quando tutto sembra crollare. La sua forza mentale non si traduce in rabbia o vendetta sportiva, bensì in resilienza, serenità e progresso costante.
In un’epoca in cui ogni sconfitta può essere amplificata dai social e trasformata in un’onta, lui ha scelto di affrontare tutto con intelligenza. «A volte devo trattenermi dal rispondere a certi commenti. È un ciclo infinito, ma cerco di non farmi coinvolgere troppo». E così, partita dopo partita, caduta dopo caduta, Ruud costruisce una carriera solida e coerente, fatta di risultati e, soprattutto, di un’identità chiara.
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