ESCLUSIVA TC – Mosè Navarra ricorda Federico Luzzi: “Persona sana e generosa, un amico sul quale contare”

Mosè Navarra fu una promessa del tennis italiano finita troppo presto per sua stessa ammissione, quando decise di ritirarsi a soli ventinove anni spinto dai troppi infortuni e da questioni sentimentali. Da tempo lavora come tecnico per la FIT e come coach di Matteo Donati ma soprattutto si occupa di crescere i giovani talenti del tennis azzurro.

Un giovane talento del tennis italiano ed una promessa finita troppo presto fu anche Federico Luzzi, tra i più vincenti juniores del tennis nostrano “Fede” non seppe ripetersi nel torneo maggiore. Mosè era molto amico del collega aretino che conosceva dall’età di quattordici anni, per questo gli abbiamo chiesto di regalarci un ricordo di Federico a dodici anni dalla sua prematura scomparsa.

Eravamo molto amici, lo conobbi quando aveva quattordici anni al suo primo anno a Cesenatico. Io ero il più grande al centro e lui il più piccolino, quindi lo avevo preso un po’ sotto la mia ala, lo portavo in sala giochi… gli piaceva andare a giocare in sala giochi e giocavamo insieme. Si è subito instaurato un legame di affetto tra me e lui che poi è continuato anche quando è cresciuto.

Federico fu n.98 ATP, conquistò gli ottavi di finale agli Internazionali di Roma nel 2001 e vestì anche la maglia della nazionale di Davis. Un brutto infortunio ad una spalla ed una squalifica per scommesse (senza mai alterare i risultati dei match) lo gettarono nel baratro della classifica mondiale, un baratro dal quale stava provando a risalire in quel tragico ottobre di dodici anni fa. A fermarlo fu un forte mal di testa che durante un match di serie A con la sua squadra il TC Parioli, lo costrinse al ritiro dopo aver giocato un solo quindici. Il ricovero nell’ospedale di Arezzo lo mise di fronte al suo avversario più difficile leucemia mieloide acuta,  che lo uccise in meno di una settimana.

Mosè Navarra

 

Della morte dell’amico Mosè venne a sapere dalla tv: “fu un fulmine a ciel sereno perché prima non si era saputo nulla. Stavo guardando il telegiornale di Sky e sotto lessi che era venuto a mancare Federico. Fu come un pugno in faccia.”

Che tipo era Federico?

“Federico era una persona sana, sana nell’animo, ecco cos’era Federico. Era una persona sulla quale potevi contare, una persona generosa, un amico. Questo racchiude tutto.”

Ci racconteresti un aneddoto, un ricordo legato a Federico?

“ Ce ne sono tantissimi che potrei raccontare. Dai tornei, alla Coppa Davis. Uno che mi fece ridere fu quando giocavamo in Serie A (tra l’altro quella volta giocava contro di me) e mi disse che l’aveva fermato la polizia perché andava troppo forte in autostrada alla barriera di Venezia e che aveva paura che gli ritirassero la patente. Ma ce ne sono tanti, come quando gli dicevi “ippopotamo” e lui iniziava a sbadigliare. Un anno al torneo ATP di Chennai la mattina a colazione lo tenemmo mezz’ora a sbadigliare perché continuavamo a ripetergli ippopotamo e lui si arrabbiava. Di aneddoti ce ne sono tantissimi.”

Che sensazione lasciò nel mondo del tennis, tra i suoi amici e colleghi, la sua morte così veloce ed ingiusta?

“Fu appunto una cosa ingiusta. Perché un ragazzo con tutta quella vita, così pieno di capacità e quando parlo di capacità parlo a livello umano, un amico, una persona che comunque era di compagnia, faceva gruppo, sai che potevi sempre contare su di lui. Sicuramente fu una mancanza importante che comunque ancora oggi si sente.”

 Cambiamo un attimo argomento e parliamo del tennis azzurro che sta vivendo un momento d’oro con Sinner, Berrettini e Musetti. Riusciremo a tornare a vincere uno Slam anche in campo maschile?

“Credo proprio di si, i presupposti ci sono poi nessuno ha mai la soluzione però credo che i presupposti per avere un tennis roseo nei prossimi anni ci siano tutti. Ci sono molti giovani oltre a quelli che hai menzionato che stanno crescendo. Credo che si prospetti un decennio molto positivo per il tennis italiano.”

 Quando a vincere erano le ragazze si diceva che il problema fossero le scuole italiane, dato che Pennetta e co. avevano fatto il salto di qualità allenandosi all’estero. Ora però i nostri talenti più luminosi hanno tutti coach italiani. Sono migliorate le scuole o è semplicemente una questione di cicli?

“Credo che in Italia ci siano maestri e tecnici validissimi, è anche una questione secondo me di casualità. Prima che uscisse Federer in Svizzera non è che avessero avuto grandissimi risultati, no? Come scuola, come movimento… . Oppure in Cile quando uscirono Gonzales, Rios e Massù tutti insieme. Quindi secondo me è una questione anche molto di casualità, perché i tecnici in Italia ci sono sempre stati e sono sempre stati molto bravi. E’ una questione di generazione. Adesso abbiamo tanti ragazzi italiani, con tecnici italiani molto bravi, molto preparati e stanno ottenendo grandi risultati. Quindi penso che sia una questione ciclica.”

 Concludiamo con un saluto a Federico. Se potesse ascoltarti cosa gli diresti?

“Molto semplice. Gli direi “ti voglio bene” e che mi mancano le nostre chiacchierate, le nostre serate, i nostri discorsi. Ma più che altro: ti voglio bene!!!”

 

Ringrazio Mosè Navarra per la disponibilità

 

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