Fedal, e se fosse l’ultimo?

Sole, vento, caldo, umidità, superficie, palle, stanchezza, età: tutto, ma proprio tutto sembra congiurare contro Roger Federer che questa sera (inizio ore 19 in Italia, le 13 in Florida) tenterà l’ennesima impresa di questo incredibile inizio 2017. Dall’altra parte della rete troverà il rivale di una intera carriera, quel Rafael Nadal che tante amarezze gli ha riservato e di cui solo nelle ultime recenti sfide lo svizzero sembra averne finalmente esorcizzato il gioco.

Siamo al confronto diretto numero 37 e, consapevole del rischio che corro, azzardo che potrebbe essere l’ultimo. E che, se fosse, la saga sintetizzata per semplicità in “Fedal”  (ma vi confesso che questo nomignolo non mi è mai piaciuto) si chiuderebbe esattamente laddove era iniziata ben tredici anni fa. Tredici anni, dei quali i due terzi trascorsi guardando tutti dalla vetta del ranking (302 settimane Roger, 141 Rafa) e sfidandosi tra loro, allontanandosi per poi tornare, anche adesso che sembravano irrimediabilmente soverchiati dalla granitica solidità del nuovo padrone (Djokovic) e del suo, forse temporaneo, vassallo (Murray). E quando questi si concedevano una vacanza ecco arrivare il terzo incomodo, quel Wawrinka ahimè incostante ma pur sempre assai temibile negli ultimi giorni di uno Slam.

Perché penso che la finale di Miami potrebbe essere l’ultimo Federer-Nadal (o viceversa) ufficiale della nostra vita? Perché pensavo che già la finale di Basilea 2015 lo fosse stato, visto poi come si dipanò l’anno successivo, con lo svizzero che per ritrovare il rivale dovette raggiungerlo nella sua accademia a Maiorca e ai tanti sembrò una sorta di rimpatriata tra reduci, incerottato l’uno e malato nello spirito l’altro. Invece, semplicemente, non bisognava fidarsi perché entrambi covavano nella profondità dell’animo la volontà di concedersi un’altra opportunità.

Detto questo, tuttavia, non mi faccio certo ingannare dalle ripetute magìe di Federer che, è fin troppo evidente, nei sei mesi di assenza dal circuito non ha solo preso familiarità con il nuovo attrezzo e metabolizzato il mantra di Ljubicic sulla nuova versione del rovescio ma ha preso lezioni da David Copperfield, divenendo egli stesso un illusionista. Perché quello che sta facendo vedere l’elvetico in questi mesi non può essere reale, siete d’accordo vero? Non si vincono gli Australian Open battendo Nishikori, Wawrinka e Nadal al quinto set, rimontando a quest’ultimo un break nel set decisivo e infilando cinque giochi consecutivi se non lasciando intendere che sia veramente successo. Come non si trionfa a Indian Wells cedendo un solo servizio (?) nel torneo e come non si raggiunge la finale di Miami, quindici giorni dopo, salvando due match-point a Berdych e domando uno scatenato Kyrgios in tre tie-break di rara, rarissima intensità. Tutto questo non è vero e quando finalmente ci sveglieremo dal delirio collettivo in cui Federer ci ha fatti piombare, saremo tutti un po’ più poveri ma almeno torneremo alle rassicuranti certezze che animano l’esistenza di noi poveri mortali privi di fantasia.

Roger Federer e Rafael Nadal
Roger Federer e Rafael Nadal

Va bene, direte voi, ma, anche fosse che è tutta una illusione, perché mai non dovrebbe continuare oltre la sfida di questa sera? Perché lo svizzero centellinerà le sue presenze sulla terra rossa, dove invece l’iberico sguazzerà con l’aria famelica del piranha da troppo tempo a dieta, e dall’erba in avanti torneranno a cantare gli altri due Beatles (credevate forse che avessero perso la voce?) o ci sarà qualche rappresentante della “Now Generation” pronto a sedersi al tavolo degli dei. Insomma, anche se non vogliamo sentircelo dire, l’eventualità che Federer e Nadal non si affrontino più è, anche per ragioni anagrafiche, più che possibile.

Ora, anche fosse, come andrà a finire questa sera a Miami? Come la prima volta, in cui al terzo turno dell’edizione 2004 del Miami Open Nadal si impose a Federer con un doppio 6-3? O come la seconda, un anno dopo, in cui Roger si prese la rivincita recuperando a Rafa due set e aggiudicandosi la finale al quinto? O come la semifinale del 2011, con Nadal di nuovo padrone con un eloquente 6-3, 6-2? Questi tre richiami, gli unici disputati a Crandon Park dai due finalisti odierni, parrebbero aggiungere una credenziale allo spagnolo e in fondo è difficile trovarsi in disaccordo con chi lo vede favorito per la conquista di uno dei tre soli 1000 che mancano alla sua collezione (insieme a Shanghai e Parigi-Bercy).

Difficilmente il match uscirà dai canoni che hanno contraddistinto quello australiano con la differenza che si giocherà sulla corta distanza, e questo è un vantaggio per Federer. Ritengo invece meno attendibile la sfida californiana, in cui evidentemente Nadal non era se stesso. Entrambi dipenderanno dal servizio e se questo è un fattore scontato per lo svizzero, lo è meno per l’iberico che dovrà necessariamente trovare un’alternativa a ciò che ha fatto per una vita, ovvero cercare il rovescio del rivale. Quanto ad accorciare gli scambi, strategia inevitabile per Federer, le condizioni ambientali e tecniche lo obbligheranno a una ricerca esasperata dell’anticipo con conseguente innalzamento del livello di rischio e difficoltà.

Finiamo con qualche numero, che non guasta mai. Federer ha vinto questo torneo due volte consecutive nel biennio 2005/06 e in entrambe le occasioni lo fece dopo aver trionfato a Indian Wells. Il “Double Sunshine”, nonostante tutto, non è un’impresa memorabile se pensiamo che, oltre a Roger, ci sono riusciti in passato Courier (1991), Chang (1992), Sampras (1994), Rios (1998), Agassi (2001) e ben quattro volte Djokovic (2011, 2014-16). Nessuno spagnolo ha mai alzato il trofeo di Miami: oltre alle quattro finali perse da Nadal (una ogni tre anni dal 2005 in poi), ci provarono inutilmente anche Bruguera (sconfitto da Muster nel 1997), Moya (2003, perse con Agassi) e Ferrer (2013, ko con Murray). Volete delle percentuali? Nadal 55-45. E, sul fatto che potrebbe essere l’ultimo Fedal, spero proprio di sbagliarmi.

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