I rantolanti uomini gommosi sgobbano per interminabili ore tra il fuoco della savana e il secco caldo di Miami, allenandosi con l’unico obiettivo di rendere ancora più orrendamente uniforme il panorama tennistico mondiale.
Sudano, faticano, sgobbano, dannandosi l’anima per tentare di correggere gli ultimi smilzi dettagli.
E poi c’è lui, divinità celeste, angelo venuto dal cielo a miracol mostrare che, con il sorriso, a suon di dirette sui social palleggia soavemente con il grazioso Pouille (ormai mia bestia prescelta), scherzando e godendosi appieno il lieve torpore che da anni lo assale.
Si prospetta quindi, ai nostri occhi mortali, la terza (o centosettesima) vita tennistica di Federer, incentrata, come da storica tradizione, su un tennis d’attacco promosso e promulgato dall’insipido geco Edberg, portatore, ai suoi tempi, di altrettanta candida luce e fautore del nuovo schema mentale del discepolo Roger.
Serviva una pausa, e una pausa è stata presa.
Ora, da numero 16, avrà l’ingrato (e bellissimo) compito di affrontare, ai quarti di finale, una delle quattro grandi teste di serie (Raonic prega incessantemente), rischiando il prematuro ed indigesto tracollo.
Magari non vincerà uno Slam, certo, ma, con il giusto sorteggio ed una buona dose di masochismo serbo-britannico, potrebbe andarci vicino, compiendo l’ennesimo diamantato miracolo.
Ma questo non è ciò che conta, almeno non per me.
Tralasciando gli aberranti discorsi su quanto sia ormai vetusto, paraplegico e colto da qualsivoglia tipologia di disturbo che gli impedirebbe di tornare a fare l’abituale incetta di titoli dorati, posso tranquillamente affermare, senza il timore di finire per sempre nel girone dei banali, che la sola visione del sacro portatore di grazia, gioverebbe al corpo stesso del circuito e degli eletti.
Ed infatti, tra strazianti lamenti ed incessanti pranzi natalizi, l’orda infinita di sudditi brama con angoscia il ritorno del proprio Re, sollevato da ogni aspettativa e ancor più vezzosamente leggiadro, portatore instancabile di bellezze plastiche e atarassiche.
Perché il 2017, per Federer, non sarà l’anno della rinascita, ma dell’ultima e mai ultima esposizione del cristallino e magico tocco.
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