Nel tennis, come nella vita, ci sono momenti che segnano un prima e un dopo. Per Matteo Berrettini, il ritiro agli Internazionali d’Italia 2025 rappresenta uno di quei crocevia dolorosi, un’altra tappa di un calvario che sembra non voler finire. Dopo anni segnati da infortuni, ricadute e rincorse alla forma, il ritorno a Roma era più di un semplice torneo: era una dichiarazione d’amore verso una città, un pubblico e un sogno mai davvero accantonato.
Nonostante un fisico da corazziere, Berrettini sembra avere muscoli di cristallo. Eppure, ogni volta che scende in campo lo fa con un’intensità che pochi sanno sostenere. Il match contro Casper Ruud, che avrebbe dovuto essere un banco di prova esaltante contro un top 10, si è trasformato invece nell’ennesimo incubo. Dopo aver perso un primo set combattuto, Matteo si è arreso a un dolore troppo familiare, abbandonando la partita nel secondo set. “Pensavo di non farcela fino a dieci minuti prima della partita, ma ci ho provato. Poi ho sentito una fitta e da lì non sono più riuscito a stare nella partita”, ha raccontato con voce rotta.
Berrettini è sceso in campo nonostante tutto. Nonostante il corpo gli suggerisse prudenza, nonostante le conseguenze già vissute in passato. E lo ha fatto anche la sera prima, nel doppio insieme al fratello Jacopo, in un momento simbolico che ha detto più di mille parole. “Ho voluto onorare questo torneo, mio fratello, il mio amore per lo sport. È stato difficile anche solo svegliarmi domenica mattina”, ha spiegato. Un gesto che, seppur forse azzardato, ha mostrato ancora una volta quanto Berrettini sia guidato più dal cuore che dalla ragione.
Quel doppio non era solo una partita: era un atto di rispetto verso il pubblico romano, verso la sua famiglia, verso se stesso. E forse, anche un tentativo di esorcizzare una carriera sempre più spesso spezzata da infortuni ricorrenti. Non è una novità per lui, che negli ultimi quattro anni ha subito sette ritiri in match ufficiali, oltre a decine di forfait forzati. “Non volevo ritirarmi, ma so cosa succede se non mi fermo: rischio di stare tre mesi senza giocare. Ogni starnuto è un problema”, ha detto con amarezza.
Il problema fisico — localizzato vicino alla zona già colpita a Madrid — ha riacceso le paure di un nuovo lungo stop. Ma stavolta, forse, si è fermato in tempo. “Spero di non essermi strappato. I dottori ormai sono stanchi di vedermi”, ha ironizzato amaramente, cercando di stemperare la frustrazione.
Dietro le parole, però, c’è un messaggio chiaro: Matteo non si arrende. Anzi, si aggrappa con forza alla possibilità di tornare in forma per la stagione sull’erba, il terreno dove ha sempre dato il meglio di sé. La mente vola inevitabilmente a Wimbledon, dove nel 2021 toccò il punto più alto della sua carriera con la storica finale. “Una settimana fa non pensavo nemmeno di riuscire a giocare questo torneo. Aver giocato due partite e mezzo è comunque un successo. Ma non voglio restare a casa, voglio giocare”, ha detto, lasciando aperta la porta alla speranza.
Il pubblico romano, i colleghi — tra cui lo stesso Ruud, visibilmente dispiaciuto — e la stampa hanno mostrato un affetto sincero nei suoi confronti. Non si tratta solo di un tennista, ma di un simbolo. Di un ragazzo che ha messo sempre tutto sul campo, anche quando il fisico gli ha chiesto il conto. Il suo lungo sguardo al cielo del Foro Italico, prima di lasciare il Centrale, è stato un addio momentaneo, non una resa.
Oggi, le classifiche contano poco. Berrettini resta uno dei volti più amati e rispettati del tennis italiano, non per le vittorie, ma per la resilienza. Perché anche se spesso non riesce ad atterrare in piedi, continua a lanciarsi, a provarci. A vivere il tennis come una missione, nonostante tutto.
La speranza è che il suo cuore possa, prima o poi, trovare pace in un corpo finalmente amico.
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