L’insostenibile pesantezza di chiamarsi Ryan Harrison

Sebbene i più abbiano giudicato la semifinale raggiunta ad Acapulco come un risultato estemporaneo, Ryan Harrison dichiara in un'intervista a Tennis.com che nell'ultimo anno ha ritrovato fiducia ed entusiasmo.

Sebbene i più abbiano giudicato la semifinale raggiunta ad Acapulco come un risultato estemporaneo, Ryan Harrison dichiara in un’intervista a Tennis.com che nell’ultimo anno ha ritrovato fiducia ed entusiasmo. Il 22enne della Louisiana, attualmente ai margini della top 100, incarna l’ennesima promessa americana incompiuta, schiacciata  dalle esorbitanti aspettative che la nazione aveva malriposto su di lui.
Come nel caso di altri illustri predecessori  (Donald Young, Sam Querrey, Jack Sock) anche Harrison ha dimostrato la propria inadeguatezza nel ruolo di defibrillatore dell’agonizzante movimento tennistico statunitense. In patria era stato ribattezzato come l’erede naturale di Andy Roddick (avessi detto McEnroe), ma col passare delle stagioni (e degli insuccessi) è parsa sempre più lampante la distanza dal suo presunto ispiratore.
Harrison, una volta resosi conto del suo effettivo potenziale, ha capito che doveva cominciare a porsi traguardi raggiungibili, e non più obbiettivi decisamente al di fuori della sua portata tecnico-agonistica. Come nel caso di molti suoi connazionali la sua vera arma contundente è il servizio, unico elemento rimasto invariato nel corso delle ultime quattro stagioni nel suo gioco.
Il resto del suo scarno repertorio è  progressivamente franato, un po’ sotto il peso delle sue crescenti insicurezze e in parte sotto il peso del suo peso. Ryan infatti ha ben due cose in comune con Katia Ricciarelli: una breve, ma roventissima, relazione con Pippo Baudo, e la tendenza ad ingrassare come pochi altri, aspetto che ne ha seriamente compromesso la mobilità sul campo.
In Messico però Harrison è apparso visibilmente più snello e atletico, ed il merito della forma ritrovata è ascrivibile proprio ad Andy Roddick, capace di toccare le corde giuste per risvegliarlo dal suo flaccido torpore, è lo stesso Harrison a riconoscerlo.
Ryan Harrison
“Ricordo il giorno in cui Andy e il mio coach Grant Doyle vennero a dirmi che avevo ancora le capacità di giocare un buon tennis, che non tutto era perduto. Sentire queste parole dal mio allenatore e da un ex campione come Andy è stato importante per riacquistare la fiducia necessaria. Mi sono reso conto di essere troppo condizionato dalla pressione dei mass media nei miei confronti e cosi, invece di leggere gli articoli che parlavano in modo positivo su di me, mi focalizzavo solo sui commenti negativi, finendo nel panico. Adesso so che posso imparare qualcosa anche dalle mie sconfitte, ho bene in mente quello che voglio fare e voglio riuscirci, che sia tra due mesi o un anno.
Anche Brad Gilbert, ex allenatore di Andrè Agassi, dello stesso Roddick ed Andy Murray, conferma quanto sia importante non farsi dominare dalle pressioni e dai pensieri negativi : “Deve rilassarsi di più sul campo, tenendo a freno l’isteria ed evitando di preoccuparsi di tutto ciò che non può controllare.” Oltre ai succitati correttivi, ciò che ha permesso a Ryan di arrestare la pessima china è stato l’incontro con l’attuale fidanzatina, la guardarobiera Lauren McHale.

Non sono tutte rose e fiori però per il tennista americano. L’inaspettato exploit ad Acapulco ha guastato i piani del governo americano, che lo aveva designato come unico rappresentante per la più importante manifestazione sportiva del mondo. Per dovere di cronaca riportiamo le improbabili parole al vetriolo del presidente Obama (!), dissociandoci dal contenuto delle stesse.
“Anche se sono nero so quanto sia importante selezionare gli atleti giusti per rappresentarci. Proprio a tal fine, tra tutti gli incapaci monitorati nel corso degli ultimi anni, avevamo scelto Ryan come fiore all’occhiello della nostra spedizione. Dopo aver sottoposto il curriculum di Harrison al comitato organizzatore eravamo riusciti ad ottenere la deroga per farlo concorrere alle Paralimpiadi. Poi però ‘sto qui va a vincere due partite mandando in malora anni di lavoro.
Di G. Micottis

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