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Lorenzi sì, Fognini no

Nella tappa asiatica dei Master1000 i nostri migliori giocatori si sono presentati all’appuntamento con obiettivi diversi e credenziali differenti.
Paolo Lorenzi, da numero uno, aveva ricevuto un sorteggio tutto sommato benevolo, guardando gli ultimi risultati dello spagnolo Guillermo Garcia Lopez, precipitato oltre la 70esima posizione del ranking mondiale, ma in vantaggio contro il senese negli head to head. Fabio Fognini, invece, ben più blasonato, è in cerca di punti per restare a galla nella top50. Il ligure ha svolto il suo compito, battendo, non senza qualche difficoltà un altro spagnolo, Albert Ramos-Vinolas. Nelle qualificazioni, senza fortuna, erano comunque presenti Andreas Seppi e Thomas Fabbiano. L’alto-atesino ha lottato contro l’emergente Taylor Fritz, mentre il pugliese ha giocato un altro match in cui le occasioni perse non sono mancate, a conferma di un livello da top100 che sta maturando settimana dopo settimana.

Dal primo turno del tabellone principale sono usciti bene sia Lorenzi che Fognini.
Paolino, ancora una volta, ha dimostrato quanto la capacità di lottare su ogni palla (fuori di metafora, ma proprio in senso letterale) conti a questo livello per portare a casa una partita. Garcia Lopez disponeva del dritto per fare male al nostro giocatore, ma Lorenzi e la sua capacità di fare muro da fondo campo, garantendo sia continuità che capacità di spostare l’avversario, ha costretto ad una resa sempre più evidente il suo avversario. Bravo ad arginare nel primo set, sofferente nel finale dinanzi agli affondi dello spagnolo, poi capace di tenere la concentrazione fino allo sfinimento psicologico di Garcia Lopez. Un capolavoro di tattica. Non troppo tempo fa,  quando si parlava di Lorenzi a questi livelli, si aggiungeva il solito commento: bravo, sì, ma ha costruito la sua classifica sui challenger, a questo livello viene solo a prendere il prize-money. Era una cantilena, tutto sommato, motivata. Con un errore di fondo: Lorenzi veniva a giocare e ad imparare, ad incassare il meritato assegno (perché nei challenger le partite non le regalano), ma soprattutto ad imparare: e ha imparato. Negli Slam come nei Master1000, perché a livello Atp250 lo avevamo già visto. Voto 10 e lode. Con buona pace di John McEnroe.

Chi invece ha vinto qualcosina di più, anche nella lotteria del talento, non riesce a venire fuori dal pantano tennistico che questo 2016 è diventato. Alludiamo a Fabio Fognini: il nostro giocatore migliore, dai tempi di Panatta. Di fatto però, con una stagione a tratti sfortunata sul piano fisico, per altri versi sciagurata, per altri (pochi) ricca di speranza. Oggi la sconfitta con Nole Djokovic, suo coetaneo e amico, era chiaramente preventivabile. Il punteggio, netto, non riflette però l’oggettiva capacità di Fognini di fare male al suo nobile avversario, ma evidenzia anche il suo peggior difetto: la totale mancanza di continuità, che a guardare i risultati, forse, azzardiamo, comincia ad essere collegabile da una mancanza di motivazioni, una cambio nella scala delle priorirtà. L’indolenza cresce in campo, la tendenza ad un body-language sempre più perdente, le ironie. Insomma, tutto, tranne che il tennis di livello che ci si aspetta da Fabio. Senza voto, perché la chiamata del 2017 è quella per il ritorno nella top20, almeno.

Alberto Maiale

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