MASTERS STORY – Gli anni di Nastase

Tra un mese, o poco meno, alla O2 Arena di Londra prenderà il via la 48esima edizione di quelle che adesso si chiamano ATP Finals ma che tutti gli appassionati conoscono meglio come “Master” (anche se la denominazione esatta è “The Masters” ovvero i maestri); si tratta del torneo di fine anno che dovrebbe raggruppare i migliori otto tennisti classificati nella stagione che va a concludersi. Il condizionale è d’obbligo perché, come vedremo in questo lungo viaggio suddiviso in dieci parti, i partecipanti non sono sempre stati otto e nemmeno i migliori. Per aiutarci nella stesura di questo resoconto abbiamo scelto una guida completa e particolarmente esaustiva sull’argomento, ovvero il libro di Remo Borgatti “Il Masters – Storia del più atipico dei tornei” edito da Effepilibri, che ci ha gentilmente concesso di riportarne alcuni passaggi che metteremo in grassetto e in corsivo. Prima di addentrarci nell’analisi, ricordiamo anche che, a supporto e completamento del libro, l’autore tiene un blog all’indirizzo https://mastersatp.wordpress.com/ in cui potrete trovare tutti i risultati e le statistiche relative al torneo in questione che, per ragioni di spazio, non hanno trovato posto nel volume.

1970

È curioso ma anche sintomatico che il Masters sia stato partorito dalla mente fervida e mai a riposo di Jack Kramer, ovvero colui che fu tra i primi, nell’immediato dopoguerra, a staccarsi dalla federazione internazionale accettando un contratto da professionista per poi aiutare la stessa a costituire il Grand Prix, un circuito di tornei partecipando ai quali i giocatori accumulavano punti per una classifica che designava i migliori della stagione. “Maestri, dunque. Campioni tra i campioni, non necessariamente immortali della racchetta ma giocatori che, ciascuno a suo modo, hanno lasciato il segno nella storia di questo sport. Perché al Masters non si arriva mai per caso, bensì solo dopo una stagione di alto livello. E soprattutto perché i posti sono maledettamente limitati.”

La prima edizione inizia il 9 dicembre 1970 al Metropolitan Gymnasium di Tokyo e vi prendono parte i sei migliori giocatori della stagione, che si affrontano nella formula insolita del round-robin (da noi conosciuto anche come “girone all’italiana”), ovvero tutti contro tutti. Non ci sarà una finale, dunque, ma semplicemente una classifica stilata in base ai risultati ottenuti da ciascun partecipante. Come abbiamo sottolineato nella prefazione, già il primo anno il torneo non raggruppa otto atleti e tra loro mancano alcuni dei migliori perché sia Cliff Richey (peraltro il primo classificato, assente in quanto debilitato da una presunta epatite) che il suo primo sostituto, l’australiano John Newcombe, danno forfait e il posto viene occupato dal cecoslovacco Jan Kodes.

Anche se “la formula, così com’è concepita, rende possibile il recupero anche dopo una sconfitta” il torneo viene deciso addirittura dall’incontro inaugurale, in cui Stan Smith batte Rod Laver recuperando il set iniziale: 4-6, 6-3, 6-4. Questo perché le vicende dei giorni successivi creano una situazione tale per cui, all’ultima giornata, nonostante la vittoria sul connazionale Rosewall per 5-6, 6-3, 6-5 (sì, il tie-break veniva disputato all’11° gioco e sull’eventuale 4-4 si giocava il punto decisivo), Rod Laver raggiunge in classifica il gigante di Pasadena ma il regolamento prevede che, in quel caso, venga premiato chi ha vinto il confronto diretto.

“Insieme all’assegno di quindicimila dollari riservato al vincitore, Smith riceve anche una bottiglia di Pepsi-Cola ma nessun trofeo è previsto per il primo di una lunga serie di fuoriclasse che onoreranno l’albo d’oro del Masters.”

1971

Dato che inizialmente la sede non è fissa, il secondo Masters si gioca a Parigi, allo Stade Pierre de Coubertin. Per via dei conflitti esistenti tra il Grand Prix e il Wct (il circuito del petroliere texano Lamar Hunt), i sette (uno in più rispetto alla prima edizione) che si trovano all’ombra della Torre Eiffel non sono esattamente i primi della classe perché Newcombe e Rosewall rinuncia a sostituirlo permettendo a Graebner di giocare al loro posto.

Sull’orlo del baratro nell’incontro inaugurale, in cui si trova sotto 0-4 nel terzo con Cliff Richey prima di recuperare e vincere 8-6, Ilie Nastase “arriva imbattuto alla sfida con Smith ma Stan ha l’occasione di soffiargli il trofeo proprio sotto lo striscione nell’ultimo match in programma.” Quando sembra che l’americano possa confermarsi campione, il tie-break del secondo set fa girare la partita ed è il rumeno a diventare Maestro per la prima volta.

1972

Alla terza edizione, il Masters inaugura quella che sarà per molti la sua formula tradizionale: otto giocatori divisi in due gruppi da quattro che si affrontano tra loro nella prima fase con il round-robin, semifinali tra il primo di un gruppo e il secondo dell’altro (e viceversa) e finale tra i due vincenti.

Si gioca al Palau Blaugrana di Barcellona e Ilie Nastase, campione in carica, ci arriva “con un record eccellente per qualità e continuità: nei ventidue tornei disputati nel Grand Prix, è andato almeno in semifinale diciotto volte e ne ha vinti sette.” Tra i migliori otto c’è anche il ventenne mancino Jimmy Connors, semifinalista sconfitto proprio da Nastase, ma il gesto migliore lo compie nell’altra semifinale Tom Gorman che si ritira con il match-point a favore perché la schiena non lo regge più e rischierebbe di non riuscire a scendere in campo per la finale. Il compagno di Davis e di doppio Smith cerca di convincerlo a restare in campo ma non ci riesce e così toccherà a lui affrontare Nastase per il titolo. La finale tra i maestri delle prime due edizioni è una sorta di spareggio e alla fine vince Ilie al quinto, dopo che Stan aveva recuperato due set di svantaggio.

1973

Il torneo sbarca negli Stati Uniti, per la precisione Boston. I migliori del Grand Prix sono Nastase e Newcombe che però vengono sorteggiati nello stesso gruppo con Kodes e Gorman mentre nell’altro ci sono gli americani Connors e Smith, l’olandese Okker e lo spagnolo Orantes.

Il campione in carica Ilie Nastase non si smentisce mai e “la sua qualificazione resta in bilico fino a quando Jan Kodes (contro il quale Nastase, indispettito dal comportamento ostile del pubblico, aveva tentato di ritirarsi prima di essere invitato a restare in campo dallo stesso avversario, oltre che dal direttore del torneo Westhall e dal giudice di sedia Blanchard) batte in tre set Tom Gorman nell’ultimo match del gruppo Blu.”

Proprio come l’anno precedente, una delle due semifinali si conclude con il ritiro del giocatore che ha il match-point; stavolta tocca a John Newcombe, incapace di proseguire contro Okker dopo essersi procurato un infortunio alla coscia nell’esecuzione dello smash che lo porta a un punto dalla vittoria. L’olandese affronta la finale con Nastase con un bilancio positivo di 4-2 negli head-to-head stagionali ma il rumeno è più bravo ad approfittare dello sciopero dei giudici di linea (sostituiti da persone scelte tra il pubblico) e mette a segno il tris.

1974

“Asia, Europa e America. All’appello mancava solo l’Australia e prontamente la lacuna viene colmata. Per il Masters 1974 si vola a Melbourne, sull’erba del mitico Kooyong Stadium.” Inizia così il capitolo del libro di Borgatti relativo alla quinta edizione del torneo dei maestri, l’ultima che tratteremo in questa prima parte. Il ’74 è l’anno della consacrazione di Jimmy Connors che vince tre prove del Grande Slam (Australian Open, Wimbledon e US Open) e alla quarta (Roland Garros) gli viene impedito di partecipare in quanto iscritto al World Team Tennis. Nonostante ciò, il leader del Grand Prix è l’argentino Guillermo Vilas, un altro mancino che predilige la terra rossa ma non mancherà di cogliere risultati lusinghieri anche sull’erba.

Il primo di questi è proprio il Masters, al quale Connors non partecipa ufficialmente per il riacutizzarsi del mal di denti (ma in realtà lo statunitense ha voluto punire gli organizzatori per lo sgarbo ricevuto a Parigi dalla Federazione Internazionale). “L’estate australiana è alle porte, ma non manca la pioggia che cade fino a qualche ora prima del match inaugurale tra Vilas e Newcombe. Nonostante il telo protettivo, l’erba è umida e tagliata piuttosto alta, tanto da rallentare le condizioni di gioco.”

Vilas batte il beniamino di casa ma entrambi volano in semifinale mentre nell’altro gruppo eccellono il solito Nastase e il messicano Raul Ramirez. Il rumeno si impone a Newcombe mentre Vilas recupera un set a Ramirez e lo raggiunge in finale. Con la televisione australiana che, in occasione della finale, inaugura le trasmissioni a colori, a seguire il match sugli spalti ci sono più di settemila appassionati. Vilas incamera i primi due set, si fa recuperare ma ha ancora l’energia per tornare avanti e chiudere il match 6-4 al quinto impedendo al tri-campione in carica Nastase di calare il poker.

Finisce qui la prima tappa del nostro viaggio verso le ATP Finals di Londra. Appuntamento a martedì prossimo, 17/10, per la seconda parte in cui tratteremo le edizioni dal 1975 al 1978.

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