Turbinio infinito di emozioni nel quarto di finale più atteso della decima giornata.
È una sfida tra due innamorati, due altruisti, due galantuomini che sperano l’uno nella vittoria dell’altro.
Ne esce un’avvincente puntata da sitcom televisiva che, sinteticamente, potrebbe essere riassunta così: “Vinci tu. No tu. No, dai, tu. ecc. ecc.”
Continui ribaltamenti di fronte, scambi interminabili di break come in un’Errani-Radwanska qualunque, migliaia di occasioni volate via con il caldo vento newyorkese.
Insomma, un immacolato clima di amicizia e fair play rende piacevole la sfida tecnica tra l’anticipo mozzafiato di Nishikori e l’asfissiante regolarità di Murray, che troppo spesso, dimentica l’esistenza di colpi fuori persino dal pensabile, come la palla corta, il dritto a sventaglio e, udite udite, la volee.
L’incredibile scontro, però, sembra essere ad un certo punto diretto a gonfie vele verso l’urlante anglosassone, quando all’improvviso, nascosto come una spia delle forze speciali, sbuca dalla tribuna una creatura pericolosissima, portatrice di sventura sin dai tempi più antichi. Mats Wilander. Ergendosi maestosamente sul campo, munito di microfono, afferma solennemente: “la partita ormai è finita, Andy ce l’ha in pugno”.
Lo scozzese, che nel frattempo fa segnare il record di protesta più lunga, facendola durare, punto più punto meno, nove game (perdendoli tutti), inizia lentamente a rendersi conto del pericolo che incombe sopra al suo capo, dopo la lungimirante profezia del veggente svedese.
Ormai rassegnato alla sconfitta, mesto si consegna all’ennesimo scambio di break, da cui, stavolta, ne esce debellato, spalancando le vampiriche fauci per farne uscire l’ultimo gracchiante urlo, prima di distruggere le rete impugnando la racchetta come fosse il martello di Thor.
Ringrazia tutti il dittatore Djokovic, privato, ahilui, del suo più grande rivale.
Ora, la corsa per gli Us Open, si fa davvero interessante.
Certo, certo.
di TuttoTennis (pagina Facebook)
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