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Novak Djokovic, “propheta in patria”

Il titolo forse fa un po’ retorica, e magari non è il massimo della precisione. Devo ammetterlo, ma svolge discretamente la sua funzione. Da un po’ di tempo si riflette molto sui possibili avversari che il numero uno del mondo, Novak Djokovic, può incontrare nel suo cammino verso un posto di assoluto rilievo nella storia del tennis. L’occasione per l’ennesima sortita nel futuro è questa volta data offerta da una “visita parenti”, come si diceva un tempo a proposito dei militari di leva, che Nole ha fatto in Serbia.

Per l’occasione, Djokovic ha rilasciato un paio di interviste, non esattamente memorabili dal punto di vista giornalistico, ma sempre utili per ragionare un po’ sul personaggio più rappresentativo del nostro sport. Ha confermato che giocherà poco, limitandosi agli ultimi master 1000 e alle ATP Finals di Londra, come era logico aspettarsi.

Con buona pace di chi lo detesta, il serbo sta dominando da due stagioni a questa parte con straordinaria continuità, e senza citare troppe finali o troppi titoli, il numero di punti ATP con cui guida il ranking è segno di risultati straordinari e di una programmazione degna del maresciallo dei Reich Rommel.

E quindi le dichiarazioni di prammatica quali “è sempre bello tornare a casa e incontrare amici e parenti” non ci dicono molto di più delle massime kantiane, mentre giornalisticamente dovremmo andare a cercare qualche imperativo categorico espresso da Djokovic, per capire un po’ del suo futuro. A questo proposito, alla domanda “come prepari i tuoi tornei”, il serbo ha risposto con grande serenità che ogni torneo prevede uno schema già collaudato, di allenamento fisico, ma soprattutto psicologico. In particolare, Nole ha detto che “tutto quello che sono stato, tutte le esperienze che ho fatto e che mi hanno portato qui, servono nei miei incontri”. Una dichiarazione non proprio banale, questa. Segno di grandissima maturità e consapevolezza da parte di un giocatore che evidentemente fa del proprio vissuto una componente non separabile dalla propria carriera tennistica. Un esempio da proporre a tutti i giocatori che stanno approcciano il mondo del professionismo, senza meno.

Altra dichiarazione interessante, forse la più suggestiva, è questa: “credo che sarò in grado di espriemere questo livello di gioco per ancora pochi anni”. Non ha la sfera di cristallo Nole, ma non ha detto “sto giocando al mio massimo, speriamo di tenere ancora questo livello per un po”, no. Ha affermato con una certa sicurezza che sarà in grado di farlo, che lo sente dentro evidentemente, anche qui, ne è consapevole.

Che la forza mentale di questo giocatore sia, insieme alla tenuta fisica, il fattore determinante del suo successo non lo scopriamo certo oggi, ma che all’apice del successo, con una pressione che è in aumento sia per le responsabilità nei confronti degli impegni presi che delle vittorie già collezionate che devono essere quanto meno mantenute (se non aumentate, con l’obiettivo Grande Slam non proprio nascosto), egli riesca a mostare questa sicumera, non è un fatto usuale nel mondo dello sport. L’occasione di queste dichiarazione viene poi in un appuntamento per beneficenza in patria, quindi non esattamente il luogo in cui mostrare sicumera.


A proposito di beneficenza, Djokovic ha anche parlato del rapporto che ha con i suoi fans, di essere consapevole di come ogni suo gesto, quale per esempio spaccare una racchetta in un momento di rabbia, possa costituire un modello negativo, ma che anche questo va contestualizzato e inserito nella vita tennistica, fatta di reazioni umane, cui è normale reagire, senza dare eccessivo peso. Il discorso ha riguardato anche il “tifare contro”, fatto emerso in modo piuttosto evidente in occasione della finale dello US Open. Anche qui, Nole “il saggio”, afferma che era preparato a questo, sapendo che Roger Federer è pur sempre un monumento di questo sport, ma che ha saputo usare “quel tifo contro come fonte di energia a mio favore”.

Insomma, un personaggio, un uomo, sereno, consapevole di ogni sfaccettatura del suo mondo, capace di viverlo senza ingigantirne i pregi e i difetti, ma con una determinazione degna di chi, come i profeti, sente di essere un predestinato, o più semplicemente, un uomo con una missione da compiere.

Alberto Maiale

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