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Olimpiadi: andarci o no?

Già da quando il tennis era sport dimostrativo, ovvero dai tempi dell’Olimpiade di Seoul, si discuteva se i “paperoni” del tennis mondiale dovessero essere ammessi nel villaggio insieme ai “poveri” degli sport minori, quelli che spesso portano tante medaglie ma che vivono la loro gloria mediatica soltanto ogni quattro anni. Eh sì, proprio così. Non si capiva bene il senso della partecipazione “gratuita” di tanti campioni della racchetta a fronte della mancanza di incentivo economico, di punteggio per la classifica. Insomma: le Olimpiadi erano una seccatura da evitare, se non fosse che il danno di immagine sia per i migliori giocatori che per il movimento tennistico in generale derivante dai tanti forfait eccellenti al torneo olimpico imponeva delle scelte accorte.

E infatti proprio l’ATP, ancora giovane e sempre più organizzata, negli anni ’90 ha molto insistito per la partecipazione dei migliori giocatori alle Olimpiadi, proprio per guadagnare un’immagine eticamente ineccepibile decisamente vantaggiosa per tutto il movimento, l’organizzazione di tornei e la contrattualizzazione con gli sponsor e le televisioni pronte a pagare diritti profumatamente.
Le ultime due olimpiadi hanno portato tanto in questo senso, con gli ori di Rafa Nadal e Andy Murray, le medaglie di Roger Federer, Nole Djokovic e Juan Martin Del Potro. Insomma, il meglio del tennis del XXI secolo. Ma qualcosa si è rotto in vista di Rio 2016.

Il pomo della discordia è tutto sulla mancanza del prize money (di nuovo la “storia dei paperoni”), cui si aggiunge per questa edizione di Rio de Janeiro, la cancellazione dei punti ATP previsti per il torneo olimpico. Non solo: a questo si aggiunga che i tornei precedenti e immediatamente seguenti il torneo Olimpico potrebbero essere danneggiati dall’eventuale stress derivante da un calendario molto fitto, specie per i migliori giocatori, papabili per le medaglie. Parliamo di Cincinnati e dello Us Open, non roba da poco.

A mettere il carico sulla vicenda ecco Ernests Gulbis, pronto a definire il torneo olimpico una sorta di “turismo tennistico”, nonché i ritiri annunciati di Feliciano Lopez, Kevin Anderson o John Isner, tutta gente che ha diritto a partecipare al torneo olimpico, ma che per motivi diversi ha annunciato il proprio forfait. Questione di programmazione in relazione all’età? Non sono. Che dire allora di Dominic Thiem che afferma come “il senso vero delle Olimpiadi lo danno il nuoto e l’atletica leggera, non il tennis”, cui fa eco la nostra Robertina Vinci, che pur giocando il torneo di Rio, ha affermato che “in effetti se si pensa ad un appuntamento importante per il tennis il pensiero va a Wimbledon o Parigi”. Eric Butorac, nel board ATP per i giocatori, ottimo doppista, difende le scelte in autonomia di ogni tennista professionista, sia che giochi o che decida di programmarsi diversamente, proprio perché “ogni tennista ha il diritto di comportarsi come un professionista che sta investendo su se stesso e su una carriera non da amatore”.

Eric Butorac

La questione non si dirimerà. Un torneo ricco di protagonisti, ovvero i primi 70\80 classificati nel ranking, sarebbe sicuramente di grande interesse, ma potrebbe portare conseguenze pesanti ai tornei seguenti, smorzando non pochi entusiasmi. E se a questo aggiungiamo il disappunto dei piccoli tornei ATP250 di agosto che vedrebbero la loro entry listi pesantemente “alleggerita” con conseguenze altrettanto nefaste sulle loro entrate, col rischio concreto di fallire e perdere il diritto ad occupare una settimana del calendario ATP, le cose si fanno peggiori. Il barone Pierre de Coubertin saprebbe come risolvere le cose? Ho i miei dubbi. Il punto da decidere è uno: davvero il movimento professionistico del tennis mondiale è interessato a stare nel novero degli sport olimpici alle condizioni che l’ITF sottolinea, ovvero quello di considerare il torneo olimpico come un evento che riguarda la squadre nazionali, e non il diritto di ogni professionista a parteciparvi liberamente? Si tratta davvero di etica e onore sportivo, o di conciliare la missione delle Olimpiadi con gli affari di uno sport che, oggettivamente, ha costruito la sua grandezza e capillare diffusione nel mondo senza il contributo dei 5 cerchi?

 

Alberto Maiale

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