Era solo questione di giorni, o al massimo settimane. L’ufficialità poteva arrivare già durante la Rogers Cup, ma il beneamino di casa e astro nascente Denis Shapovalov ci ha messo lo zampino, sgambettando lo spagnolo ai quarti di finale. Poco importa adesso. Con la complicità di tutti i big, fra i quali si è aggiunto in questi giorni anche Roger Federer, che salteranno il Master 1000 di Cincinnati per infortunio, Nadal tornerà numero 1 del mondo, prima ancora di giocare, da lunedì 21 agosto.
La prima volta – Fanno 3290 (tremiladuecentonovanta!) giorni dalla prima volta, 18 agosto 2008, quando scalzò dalla vetta il – già allora – eterno Roger Federer, durante il periodo d’oro della loro – già allora – eterna rivalità. Il sorpasso fu sancito dai freddi numeri del computer in seguito – anche allora – al torneo di Cincinnati, ma, di fatto, il soprasso era reale già prima della matematica certezza. In quel 2008 Nadal aveva schiacciato in 4 finali su 4 uno svizzero affaticato dalla mononucleosi e intimidito dalla consapevolezza di non essere più invulnerabile. Di queste quattro finali, l’ultima sarebbe diventata la più bella partita della storia del tennis: la finale di Wimbledon 2008.
La finale diventerà la chiave di volta della carriera del ventiduenne spagnolo, che inizia a vincere con regolarità anche fuori dal fortino della terra rossa, dopo i quattro Roland Garros consecutivi, dando inizio al suo primo Regno. Come primo editto reale, pone fine al Paradosso: pur essendo in vantaggio negli scontri diretti per 12-6, fino a quel giorno le settimane consecutive come numero 2 alle spalle dello svizzero sono ben 160. Diventerà il 24esimo numero 1 del mondo, pur avendo già un palmarès che molti fra i precedenti (e fra i successivi) non hanno mai raggiunto: 5 Slam, 11 Master 1000, 31 titoli, 1 medaglia d’oro olimpica. Non sarà però un regno lungo, che si chiuderà con la complicità degli infortuni solo 46 settimane dopo, riconsegnando lo scettro proprio a Federer
L’ultima volta – Fanno 1132 (milleecentotrentadue!) giorni dall’ultima volta, il 7 luglio 2014, quando verrà superato da Novak Djokovic, che dopo anni da comprimario diventerà da allora e ufficialmente il cannibale del circuito. Il 6 luglio 2014 Wimbledon si concluderà con la vittoria del serbo, ma per Nadal il torneo era finito ben prima, al quarto turno contro l’eterno predestinato Nick Kyrgios.
La prematura uscita di scena costerà il trono allo spagnolo, nonostante la vittoria al Roland Garros e un 2013 da dominatore, dopo le 39 settimane consecutive del suo terzo regno, il più breve. Breve ma quanto mai sudato, e raggiunto da lontanissimo. Servono 10 titoli lungo tutto il 2013 per tornare di nuovo numero 1 del mondo, fra i quali il Roland Garros e gli Us Open, obbiettivo che verrà raggiunto con una determinazione e un percorso schiacciasassi solo a ottobre.
Il secondo regno dei record – Nel mezzo, il secondo regno della consacrazione e dei record. Il 6 giugno 2010 torna numero 1 del mondo, sempre ai danni di Federer, dopo essersi ripreso lo scettro del Roland Garros e aver completato il Clay Slam, vincendo tutti i principali tornei sul rosso. Si porterà a casa anche Wimbledon, e chiuderà la stagione con 3 Slam vinti, completando il Carreer Golden Slam, con gli Us Open, diventando il primo detentore di 3 Slam su 3 superfici diverse dai tempi di Rod Laver.
Sarà l’ascesa all’Olimpo di Djokovic a rovinargli i piani, ma la Storia è ormai scritta.
Il nuovo regno – Il quarto regno arriva alla fine di una scalata al vertice programmata da lontanissimo, dopo un biennio 2015-2016 durante il quale le malelingue lo avevano dato per finito. Mai come in questo biennio però l’aura di invulnerabilità e di solidità dello spagnolo erano venute meno.
Un’aura che era stata, anche da sola, in grado di schiacciare avversari ancora prima di giocare, e in grado di regolare gli eterni rivali nelle partite più difficili.
Un’aura quest’anno ritrovata e rinnovata – pur con qualche riserva – in questo 2017. Per comprenderne le basi, dobbiamo riavvolgere il nastro al finale di stagione del 2016, quando qualche scossa di terremoto si fece sentire dalle parti di Manacor in seno allo staff dello spagnolo. I tanti rumori intorno alla fine del rapporto secolare con lo zio Toni, si tradurranno nell’ingaggio di Carlos Moya, con lo zio a mantenere un certo ruolo ad oggi ancora poco chiaro ma comunque importante. Ma è la nuova impronta data dall’ex numero 1 spagnolo a dare nuova linfa al gioco di Nadal, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Al gioco dello spagnolo si aggiungono accelerazione e anticipo, che si sommano ad una ritrovata profondità, portando risultati sia sulla terra rossa che – di nuovo – anche fuori. E i risultati fuori dalla terra sono da sempre quelli che proiettano automaticamente il King of Clay al vertice mondiale.
Il processo di trasformazione però non si è avverato senza qualche sacrificio, di cui il principale è la perdita della superiorità psicologica nei confronti degli avversari, e soprattutto di Federer. Nadal infatti si ritrova a giocare un gioco più offensivo che senza dubbio gli procura risultati, ma che è ancora un territorio poco esplorato dallo spagnolo, che per una carriera è stato a suo agio nella difesa estrema, contrattacco e passante, grazie alla sua disumana mobilità in campo. Tuttavia paga dazio nei momenti chiave delle partite, quando la veste offensivista si scopre e fa intravedere le crepe nei muscoli e nelle gambe, oltre che nella mente. La dimostrazione più eclatante è la difficoltà contro Federer, nella prima parte dell’anno. Oltre ai cambiamenti dello svizzero, ad invertire le forze in gioco sono stati anche i cambiamenti dello spagnolo, che paga la perdita della capacità di recupero palla, e che, così proiettato vicino alla linea di fondo, soffre l’anticipo dello svizzero. A questa difficoltà si aggiunge un inedito disagio nei set chiave, in particolare nei quinti set; contro Federer in finale agli Australian Open, e contro Muller nel loro infinito quinto set a Wimbledon.
Due inediti imprevisti per Rafa, le cui solidità fisica e mentale a 31 anni sono necessariamente minate anche dall’età. Ma che nonostante tutto non sono state sufficienti per impedirgli di tornare al vertice mondiale. Da lunedì comincia una nuova Storia da scrivere, la storia del nuovo quarto regno del maiorchino. Forse sarà breve, forse sarà lunga. Sicuramente sarà, ora come sempre, combattuta punto su punto, palla su palla, partita dopo partita. Un regno che ha basi solide, ma non solidissime, e che è minabile dal nuovo che avanza ma soprattutto dal Passato, che è sempre lì, imponente ieri come oggi, in un testa a testa che vorremmo non finisse mai con il rivale di sempre: Roger Federer.