CIRCUITO ATP

Il bacio alla terra e l’addio di Caruso: “Il tennis mi ha reso l’uomo che sono”

Una carriera fatta di sogni, sacrifici e emozioni autentiche

Sul Campo 1 del Foro Italico, davanti a pochi intimi ma con il cuore colmo di gratitudine, Salvatore Caruso ha dato il suo ultimo saluto al tennis giocato. È finita con una sconfitta contro il giovane Massimo Giunta nel primo turno delle prequalificazioni degli Internazionali BNL d’Italia, ma quel risultato era solo un dettaglio. Il momento davvero importante è arrivato dopo: le ginocchia piegate, un bacio alla terra rossa, gli occhi chiusi, come a ringraziare il tennis per ogni emozione, bella o difficile, vissuta lungo un cammino straordinario.

La parabola di “Sabbo”: dall’utopia della top 100 all’orgoglio di una vita sportiva vissuta fino in fondo

Classe 1992, nato ad Avola, Caruso ha raggiunto il suo apice nel 2020 con il best ranking ATP al numero 76 del mondo. Nel corso della sua carriera ha vinto sei titoli Futures, due Challenger e ha collezionato presenze in tutti gli Slam, togliendosi il lusso di affrontare Novak Djokovic sul centrale del Roland Garros 2019. E anche se a Wimbledon non ha mai superato il primo turno, il solo esserci — nel 2019 e 2021 — ha rappresentato per lui il coronamento di un sogno da bambino.

Tra i suoi successi più noti, spicca la vittoria su Borna Coric, all’epoca top 20, e un primato curioso che resiste: è l’ultimo italiano ad aver sconfitto Jannik Sinner, nelle qualificazioni del Masters 1000 di Cincinnati nel 2020. Ma più dei numeri, Caruso ha sempre voluto lasciare un segno umano: “Ho sempre cercato di trasferire qualcosa a chi guardava le mie partite. Quel bacio finale è il mio modo di mostrare rispetto per questo sport, che mi ha dato più di quanto potessi immaginare”, ha raccontato al termine della sua ultima partita in un’intervista a SpazioTennis.

Le ombre dietro le luci: la fragilità come forza e l’importanza della salute mentale

Non è stato tutto semplice. Nel 2022, un malore durante il Challenger di Parma ha segnato una fase oscura, in cui Caruso ha confessato di essersi sentito “nudo davanti al mondo”. Era stanco, svuotato, e a fatica riusciva a trovare motivazione persino per sostenere un’intervista post-partita. “Non ero depresso, ma quasi. Avevo smesso di essere felice”, ha ricordato con una lucidità toccante. In quelle parole si riflette una maturità rara: quella di chi ha imparato che “chiedere aiuto è una forza”, che mostrarsi fragili non è una debolezza ma un atto di coraggio.

La salute mentale, oggi sempre più centrale nello sport, è diventata per lui un pilastro. Anche grazie al sostegno di amici come Alessandro Giannessi, Andrea Arnaboldi e Federico Gaio, Caruso ha riscoperto l’equilibrio e la serenità, fino a prendere la decisione più difficile ma anche più giusta: lasciare il tennis giocato.

Il rapporto con le persone, il valore dell’amicizia e l’amore per la sua squadra

Nel suo lungo percorso, un posto speciale è stato occupato da coach Paolo Cannova, suo mentore e amico per oltre quindici anni. “Se non avessi incontrato Paolo, non avrei mai raggiunto questi risultati. Ha dormito più con me che con sua moglie”, ha detto sorridendo, ma con infinita gratitudine. Accanto a loro, figure come il preparatore atletico Pino Maiori, Piero Intile e la famiglia, sempre presente con discrezione, hanno rappresentato la base solida da cui Caruso ha costruito tutto.

E anche se la sua carriera non è stata costellata di trofei, ha avuto momenti indimenticabili: dall’abbraccio con Cannova dopo la vittoria del Challenger di Barcellona 2019, che gli regalò l’ingresso in top 100, alla notte di Parigi con tutta la famiglia sugli spalti contro Djokovic. “Mi sento una persona fortunata. Il tennis mi ha fatto crescere e superare i miei limiti”, ha detto.

L’eredità di un uomo “malato di emozioni” e il futuro da coach

Caruso ha sempre vissuto il tennis in modo profondo, emotivo, viscerale. “Mi definisco uno malato di emozioni. Se mi dicessero che posso rivivere quelle emozioni a patto di restituire una macchina nuova, lo farei subito”, ha dichiarato. E forse è proprio questa autenticità ad averlo reso così amato da colleghi e addetti ai lavori.

Ora, si apre per lui una nuova pagina. Non più da giocatore, ma da allenatore. “Voglio replicare quello che Paolo Cannova ha fatto per me. Aiutare i giovani a inseguire i loro sogni”. Il tennis, per lui, resta casa. Resta vita. E mentre si chiude il capitolo dell’agonismo, si apre quello della trasmissione: l’esperienza al servizio degli altri.

Un addio senza rimpianti

Non ha rimpianti, solo la consapevolezza di aver dato tutto. E se potesse tornare indietro, forse si godrebbe di più certi momenti. “Quando ero al mio apice ero troppo concentrato su cosa veniva dopo. Una passeggiata in più a Piazza di Spagna non mi avrebbe fatto perdere una partita”, ha ammesso con sincerità.

Alla fine, resta solo da dire grazie. Al tennis, alla vita, alle persone. “È stato un viaggio meraviglioso. Credo di aver lasciato qualcosa al dio tennis e di aver preso molto di più. Ringrazio il tennis per la persona che mi ha fatto diventare”.

Redazione Tennis Circus

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