ROGER FEDERER, UN FUTURO INCERTO

 Se è vero che solo i grandi sportivi si sanno valutare anche in base al coraggio delle loro scelte, Roger Federer nei giorni scorsi ha confermato una volta ancora di essere un vero campione. Una settimana fa, al termine della brutta sconfitta contro Gael Monfils agli ottavi di Shanghai, è arrivata la notizia della decisione di rompere con Paul Annacone, suo coach da oltre tre anni. Tra gli appassionati è scoppiato un clamore che solo le scelte di Roger Federer possono destare. In molti hanno salutato la rottura con un risoluto “era ora!”, altri invece, hanno sollevato qualche preoccupazione.

Roger Federer viene dalla stagione più rovinosa degli ultimi dodici anni. Dopo una buona semifinale raggiunta nel suo primo torneo dell’anno, l’Australian Open, dove batte per l’unica volta un top-ten, Jo Wilfried Tsonga, e dopo aver perso in cinque valorosi set dal britannico Andy Murray, Roger ha collezionato un bilancio di 12 sconfitte a fronte di 30 vittorie. Quello che ha mortificato di più gli appassionati sono state la scarsa lucidità e l’apparente apatia nell’affrontare i match dello svizzero, che fino all’anno scorso di queste doti aveva impostato le chiavi del suo successo. Ai quarti di Indian Wells, devastato da una forma fisica insufficiente e dal dolore alla schiena, arriva la prima sconfitta (con un secco 6-4 6-2) per mano di un Rafael Nadal appena rientrato. Proprio dopo quella partita si ha il sentore che Roger Federer non avrebbe risolto i suoi problemi in tempi brevi. Rientrato dall’infortunio alla schiena, lo svizzero non smette di collezionare brutte sconfitte dai migliori ma anche da mediocri giocatori come Daniel Brands, Federico Delbonis e Sergiy Stakhovsky, il quale estromettendolo al secondo turno di Wimbledon, ha interrotto la serie di 36 quarti di finale consecutivi raggiunti in un major. Dopo il torneo di Cincinnati, Roger è sprofondato fino alla settima posizione mondiale: l’ultima volta che era sceso così in basso era stato nel 2002.  Per questo, dopo tante frustrazioni, si può capire il sollievo degli appassionati, i quali ultimamente avevano attribuito in parte ad Annacone la colpa delle cattive scelte di programmazione di Roger, come la tournée di esibizioni in Sud America a dicembre 2012, a detta di molti un vero colpo di grazia per la preparazione alla stagione australiana e, di riflesso, per tutto il 2013. Anche la inutile partecipazione sulla terra europea di Amburgo e Gstaad gli ha negato due preziose settimane per allenarsi sul cemento americano.

Di certo la scelta di Roger è profondamente significativa. Un campione al crepuscolo, trentadue anni che purtroppo si sentono tutti, la stagione non ancora conclusa, una qualificazione al Masters tutt’altro che certa e, last but not least, due bambine  in età scolare che lo seguono in giro per il mondo,potrebbero sembrare i presupposti per un ritiro, non per una nuova rinascita. Paul Annacone oltre che coach era divenuto un amico di famiglia tessendo un’amicizia stretta forse solo col coach Peter Lundgren, lasciato nel 2003. Un rapporto che era nato dall’affinità dei caratteri e dello stile di gioco di serve&volley e chip&charge in cui Annacone eccelleva da giocatore, un tennis magistrale che gli aveva permesso di raggiungere i quarti a Wimbledon nel 1984. Annacone, filo rosso tra due immortali, inglese di Southampton classe 1962, era stato mentore di Pete Sampras, che aveva seguito dal 1995 al 2001 e poi, dopo una pausa di sei mesi, era ritornato nel 2002 fino al termine della carriera dell’americano. Proprio quell’anno, dopo mesi di crisi, entrambi avevano vissuto la loro favola quando ‘Pistol Pete’ vinse  il suo quattordicesimo e ultimo slam, quando sconfisse un po’ a sorpresa il rivale Andre Agassi. In contesti un po’ diversi, la storia si era ripetuta con Roger, quando vinse Wimbledon 2012 e tornando n. 1 del mondo per 17 settimane, centrando tutti e tre gli obiettivi che si erano prefissati tre anni prima: vittoria Slam, Master e prima posizione mondiale. Forse, dopo questi risultati, la presenza di Annacone non stimolava più le ambizioni di Roger, la sua audacia, la sua fame inveterata che l’ha indotto ad abbandonare il porto sicuro e lanciarsi in mare aperto.

Sia chiaro, Roger Federer se l’è cavata sempre benissimo da solo. E’ curioso notare che negli ultimi anni praticamente tutti i campioni abbiano legato indissolubilmente la loro carriera a quella di un coach storico, spesso padrino e mentore di una vita. Brad Gilbert ha condotto allo status di campione il ragazzaccio Andre Agassi, aiutandolo ad essere più solido e paziente, condizionando in massima parte lo stile di vita del suo pupillo e costringendolo a regole di castità e rigore che certo prima non erano contemplate dalla belva di Las Vegas Annacone ha innalzato all’eternità Pete Sampras, decidendo di condividere la gloria e i momenti di crisi fino alla fine. Infine, è impossibile oggi concepire Rafael Nadal senza Toni, Novak Djokovic (al contrario delle recenti e infondatissime voci di sostituzione)senza Vajda e, ormai, Andy Murray senza Ivan Lendl, il quale l’ha portato alla vittoria di due slam e un’Olimpiade. Legami così forti che hanno contributo a mitizzare la figura dei grandi allenatori, maestri burattinai che dirigono i loro campioni con fili dorati. Roger Federer è stato l’unico, tra questi, che è rimasto indipendente dalla figura di un coach particolare, così come Serena Williams, del resto. Il loro talento egotico, la capacità di gestione e una ingombrante presenza familiare al loro fianco – per Serena i genitori, per Roger l’inseparabile moglie Mirka – ha permesso loro di vincere anche senza coach. Lo svizzero nel 2004, dopo la separazione da Lundgren e prima di Tony Roche, ha vinto tre slam (Australian Open, Wimbledon e Us Open) e nel 2009, sempre da solo, ha vinto il Roland Garros, per la prima volta in carriera, e ancora Wimbledon. 
Per alcuni conoscitori del tennis una valida ipotesi è questa: Federer potrebbe continuare da solo per qualche tempo diretto dalla moglie, la sapiente Miroslava “Mirka” Vavrinec, ex tennista professionista che da tredici anni segue in ogni cosa la carriera del marito, aiutandolo a programmare la stagione e occupandosi degli aspetti organizzativi e manageriali. Nessuno più di lei conosce ogni singolo torneo, ogni singola partita disputata dal marito e, soprattutto, i punti di debolezza di questo Federer. Una gestione ‘familiare’, sostenuta dall’amico e capitano di Davis Severin Luthi e un valido team, potrebbe dare allo svizzero maggiore fiducia e di certo meno pressioni per il 2014, definito da lui stesso l’anno della sua rinascita. Di certo Roger in questi giorni sta già facendo importanti decisioni in assoluta autonomia: poche ore fa ha comunicato, tramite il suo agente Tony Godsick, che quest’inverno non parteciperà alle esibizioni sudamericane e si preparerà unicamente per l’Australia, dove a Brisbane giocherà il primo torneo dell’anno nuovo.

Malgrado queste ipotesi, stando alle stesse parole di Federer, è probabile che lo svizzero arruoli a tempi molto brevi un nuovo coach che possa costruire con lui il suo ritorno al vertice. Nel mondo del web stanno già circolando mille nomi, mille supposizioni e fantasticherie più o meno improbabili su chi sarà il nuovo allenatore di Mister 17 slam. Affascinante ma irrealizzabili sono le candidature delle vecchie glorie Pete Sampras, Stefan Edberg e Jim Courier, i quali tuttavia non hanno mai avuto esperienza come coach. Ipotesi più plausibile è quella di Magnus Norman, ex allenatore di Robin Soderling e coach attuale del connazionale Stan Wawrinka, che ha tratto notevoli benefici in questi pochi mesi di collaborazione. Sono tre tuttavia i nomi più caldi che circolano in questi giorni: Darren Cahill, Larry Stefanki e, udite-udite, Brad Gilbert.

L’ex tennista e stimato professionista australiano Darren Cahill ha già avuto l’occasione di assistere un campionissimo negli anni del crepuscolo: Andre Agassi, ritiratosi nel 2006. Cahill, soprannominato “The Killer”, è conosciuto per la sua attenzione nello sviluppare la forza mentale, la motivazione di un giocatore. Forse anche per questo si è trovato a che fare con tennisti che certo non possono ritenersi delle rocce quali Fernando Verdasco, Daniela Hantuchova, Andy Murray e, non ultimo, Ernests Gulbis, aiutandolo a scacciare in gran parte i suoi demoni e risalire diverse posizioni in classifica. Secondo recenti dichiarazioni Cahill ha ammesso che gli piacerebbe molto ritornare ad allenare, appena gli si fosse presentata l’occasione giusta. Potrebbe essere lui l’uomo giusto per ridare a Federer nuovi stimoli per ritornare alla grande? Altro candidato è lo statunitense Larry Stefanki, classe 1957 e una vasta esperienza grazie alla guida di campioni quali John McEnroe, Tim Henman (come Annacone), Fernando Gonzalez, Evgenij Kafelnikov e Andy Roddick, che ha assistito fino al suo ritiro. Ultimo, ma non ultimo, è il leggendario Brad Gilbert, autore del più grande manuale di tennis ‘Winning Ugly’ e allenatore di superstar come Andre Agassi, Andy Murray, Andy Roddick e Kei Nishikori. Nel suo libro è spiegato il suo metodo incentrato su uno stile aggressivo volto a togliere il tempo all’avversario facendolo giocare il meno possibile. Uomo istrionico e guru geniale, potrebbe avere la giusta soluzione per costruire una tattica vincente e più incalzante nel tennis di Federer. Gilbert aveva dichiarato di non essere più interessato a continuare la sua carriera di allenatore. Ma si sa, a una richiesta di Roger Federer è molto difficile rispondere “no”. Anche se, colui che diventerà suo coach, dovrà fronteggiare una sfida decisamente ardua, che non tollera vie di mezzo, cioè riportare al successo il più grande campione della storia nel momento del suo declino. Inutile dire che se avesse successo probabilmente sarebbe incoronato dai posteri come uno dei massimi burattinai che la storia del tennis abbia mai conosciuto. Un fallimento, invece, legherebbe inevitabilmente il suo nome al tragico spegnimento di un semidio.

I prossimi giorni ci daranno maggiore luce sul futuro di Roger Federer che, già adesso, ha su di sé il peso della qualificazione alle ATP Finals, che si deciderà a seconda dei risultati dei tornei di Basilea e Parigi-Bercy. Il declino di qualsiasi tennista è sempre degno di un’empatia profonda e di un’ammirazione per chi ha deciso di rimanere e di non ritirarsi, di passare le giornate sopra campi da tennis piuttosto che in qualche mastodontica villa a godersi gli anni della pensione. Ragione in più se sei Roger Federer, se fino a pochi anni fa avevi il circuito del tennis ai tuoi piedi e ora rimani lì, ripartendo quasi da zero, lottando per ricostruire una nuova rinascita alla quale non tutti credono.

articolo pubblicato anche su tennis.it

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