Diceva il grande filosofo olandese Baruch Spinoza (ma di origini portoghesi) “deus sive natura”, Dio ovvero la natura. E fu tacciato di eresia da ogni religione europea. Con meno pretese di Spinoza ma con una verve provocatoria non molto distante da quella di Baruch, vorremmo azzardare un paragone tra Dominic Thiem, oggi sconfitto da uno scatenato Lucas Pouille nella finale di Metz, e Ivan Lendl, specie quello degli esordi.

Due fondamentali di solidità eccezionale, un servizio affidabile e in grado di cercare il punto, alla bisogna, con la capacità di variarlo in modo discreto, specie in slice. Scarsa propensione alla discesa a rete, seppure non disdegnata, una buona manualità nel gioco di volo, ma che necessita, col tempo, di migliorare. Entrambi poi vengono dalla mittle-Europa, ventre caldo e misterioso del vecchio continente, sempre grande fornace di campioni all time.

Certo, Thiem rappresenta una versione aggiornata, se volete 2.0, di Ivan drago. L’austriaco arrota molto di più di Lendl, specie di dritto, ma come il campione di Ostrava sa passare molto bene, usa il rovescio sia in back che in top, nascondendolo come pochi e tirandolo senza paura anche nei momenti più difficili. Difficile attaccarlo, perché proprio come Lendl sa correre con buona coordinazione, e passa molto bene. Non per nulla, parliamo di un classe ’93 che è già stabilmente nella top 10 del ranking mondiale.

Esattamente come il campione ceco (poi naturalizzato statunitense) ha nella terra rossa la sua superficie ideale, ma a dispetto dei detrattori del campioncino di Wiener Neustandt, sa disimpegnarsi bene su tutte le superfici. Apparantemente, proprio come Lendl, sull’erba non è del tutto a suo agio: apparentemente però, perché nel tennis del XXI secolo colui che “predilige la terra rossa” ha piazzato una vittoria a Stoccarda, una semifinale ad Halle ed un secondo turno, dinanzi ad un caldissimo Jiri Vesely, a Wimbledon, con diritto di riscatto nel futuro, naturalmente.

Difficile trovare così tante affinità tra un campione che ha vissuto gli anni della transizione tra il tennis delle racchette in legno e i nuovi materiali come Lendl, ed un altro che è nato e cresciuto all’ombra di Djokovic e Nadal, combinando potenza, agilità e power-tennis. Se Thiem saprà mettere a posto il suo gioco, rendendolo più aggressivo, facendo un passo verso la linea di fondo, senza fidarsi troppo dei suoi due “martelli” (cito l’amico Gianni Ocleppo) da fondo, spesso fallosi, potrà dare l’assalto al best 5, e, va da sé, collezionare un po’ di Slam: quali e quanti, lo sa il Dio del tennis, o chi per lui.

Alberto Maiale

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