U.S. Open a Indian Wells?

Nell’ormai scarno calendario tennistico, il prossimo slam in programma è lo U.S. Open. L’organizzazione, però, è molto più complicata di quanto già non si possa pensare di questi tempi: infatti, il Billie Jean King National Tennis Center, ossia dove si disputa ogni anno il torneo newyorkese, sta venendo attualmente utilizzato come struttura (temporanea, s’intenda) per la cura dei pazienti Covid-19 e per produrre pasti per i senzatetto.

Tuttavia, l’organizzazione procede, e la USTA è sempre decisa a non disputare il torneo a porte chiuse. In questa ottica, sta tornando in auge una proposta nata a inizio aprile e poi andata nel dimenticatoio: sarebbe possibile disputare gli U.S. Open ad Indian Wells?

Esattamente, proprio la sede del BNP Paribas Open, primo torneo cancellato per colpa del Coronavirus, potrebbe essere utilizzata per disputare gli incontri dell’ultimo slam stagionale. Facciamo due conti: l’Indian Wells Tennis Garden dispone del secondo stadio per il tennis più grande al mondo (16100 posti), uno Stadium 2 da 8000 posti, altri due stadi con rispettivamente capienza di 4000 e 3000 persone, altri 5 campi e 20 per l’allenamento. Una struttura, ad essere riduttivi, stupenda, ma sarà abbastanza per disputare un torneo della categoria superiore?

Campo centrale di Indian Wells

Il primo, ingestibile, problema è il clima. Infatti, nell’arido deserto californiano, le temperature diurne dei mesi di agosto e settembre sono semplicemente incompatibili col tennis: si oscilla, infatti, attorno ai 40 gradi.Le opzioni rimaste, dunque, sono due: o spostare avanti di qualche settimana il torneo rispetto alla data prefissata, con conseguente abbassamento delle temperature, oppure giocare gli incontri solo in notturna, quando il termometro scende ai più accettabili 22-25 gradi.

Ipotizzando risolto il problema temperatura, e andando sul pratico, sorge la questione campi. Esattamente, perché a Flushing Meadows i campi utilizzati sono 17, non 9 come a Indian Wells. E’ vero, si potrebbe convertire parte di quei 20 deputati all’allenamento in sedi di gioco ufficiale (basti pensare che a New York i campi non interessati da gare sono solo 7), ma comunque le tre settimane di torneo risulterebbero davvero affollate. Non proprio il massimo data la situazione globale.

Esiste poi un insieme di strutture accessorie non considerate dai fan ma fondamentali per televisioni e stampa. Infatti, gli alloggi per i media e gli sponsor dovrebbero essere enormemente ampliati, come anche la sala stampa, che dovrebbe essere grande il triplo di quanto non sia ora per pareggiare quella dell’Arthur Ashe newyorkese.

Pensiamo ora agli spettatori. Guardando i meri numeri, l’ultima edizione di Indian Wells ha registrato 456000 spettatori, contro i 700000 che hanno guardato gli U.S. Open dagli spalti. Gli ingressi, e quindi gli introiti per la USTA, ne risentirebbero pesantemente; a ciò bisogna aggiungere anche la rigidità dei vigili del fuoco della Coachella Valley: essi, infatti, hanno più volte bloccato l’ingresso al torneo Californiano per raggiunta capienza massima.

Non sono da dimenticare, poi, i parcheggi: seppur essi siano stati ampliati numerose volte durante le ultime edizioni del BNP Paribas Open, bisogna considerare l’utilizzo molto maggiore di vetture private in California rispetto a quanto non accada a New York. Questo non può che porre la tematica dei posti auto tra le priorità maggiori della USTA.

Ultimi, ma non meno importanti, sono gli alloggi. L’enorme incremento di spettatori del torneo di Indian Wells (si è passati dai 300000 di 10 anni fa ai già citati 456000 dell’anno scorso) ha reso sempre più difficile trovare stanze libere per tutti i partecipanti e per le loro entourage. Non sarebbe difficile, quindi, essere obbligati ad alloggiare a 60-70 chilometri di distanza dagli impianti, come già successo ad alcuni durante il normale Master 1000.

Visto tutto questo, è davvero possibile il trasferimento ad ovest?

L’Arthur Ashe Stadium di New York

 

Fonte: ubitennis.it

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