E’ il coach che fa il campione o ….

E’ di questi giorni la notizia che Maria Sharapova ha trovato finalmente trovato un nuovo coach.La tennista di origine siberiana che è stata ferma per più di tre mesi per un problema alla spalla si dice infatti contenta di questa decisione.E’ l’olandese Sven Groeneveld

che ha allenato in passato Arantxa Sanchez, Monica Seles, Mary Pierce, Ana Ivanovic e Caroline Wozniaki. “Sono felice di annunciare la mia nuova partnership. Abbiamo lavorato insieme da quando sono tornata in campo e, dopo averlo visto per tanti anni dalla parte avversa, sono eccitata di averlo nella mia squadra”.

Ma la nostra Masha non è l’unica fresca di coach. In questi giorni, infatti anche la Francesca Schiavone nazionale ha annunciato la nuova partnership con Giorgio Galimberti, ex tennista azzurro e volto di Supertennis , che da anni  è alla guida della San Marino Tennis Academy. La Schiavone dovrebbe intraprendere la preparazione invernale proprio nella piccola Repubblica, per poi volare in Oceania con Giorgio.

Nuove aspettative dunque, nuovi connubi, stessi giocatori. Dietro alle quinte del mondo del tennis amicizie e partnership che vanno e vengono, allenatori , team di allenamento e molto, molto lavoro per la preparazione dei professionisti di questo poliedrico sport.

Come mai sembra così difficile capirsi, trovare l’intesa che porta al successo su quei  23,77  x 10,97 m di campo che sia rosso o verde o sintetico?

E poi,  cos’è veramente che porta al successo di un atleta, il suo naturale talento o invece chi sa intuirlo, allenarlo, motivarlo?

Sembra che la Sharapova abbia avuto all’età di cinque anni un incontro con la Navratilova che intuendone il talento ha consigliato ai genitori di trasferirsi in Florida per fare allenare Masha alla Bollettieri Academy.

Rafa Nadal invece è particolare nel suo rapporto col suo zio-allenatore, in questo caso un allenatore mentale oltre che atletico.

Nadal riporta nella sua biografia che sta uscendo sul Daily Telegraph a puntate “Toni è stato duro con me fin dall’inizio, molto più  duro che con gli altri ragazzini del gruppo che allenava, ma tutti i successi che ho ottenuto nel tennis li devo a Toni. E gli devo molti ringraziamenti per aver insistito fin dall’inizio, perché rimanessi con i piedi per terra e non mi montassi la testa. Il fatto che Toni non abbia mai allentato la pressione su di me ha avuto il suo valore, mi ha sempre spinto a migliorarmi”

Ma dice anche “ Mi chiedeva molto, mi metteva pressione, usava un linguaggio duro, mi urlava dietro fino a spaventarmi, specie quando ci ritrovavamo da soli. Il mio amico Miguel Angel Munar si ricorda di come a volte mi tirasse una pallina contro, senza colpirmi, quando si accorgeva che ero distratto e voleva spaventarmi per farmi ritrovare la concentrazione”. Mi ha sempre ripetuto che dovevo resistere alle avversità, farmi carico delle mie responsabilità e

superare le mie debolezze attraverso il dolore, perché altrimenti non sarei mai diventato un grande atleta”.

Quindi, senza zio Toni niente Nadal o senza Nadal zio Toni resta un allenatore qualunque?

Forse la risposta sta nel connubio, nell’alchimia che viene a formarsi fra l’atleta e il coach, nella capacità del coach di intuire il campione e la maniera di farlo emergere.

Questo è il caso di Fabio Fognini. Pur essendo l’italiano un talento cristallino e da molti anni nei primi 50 aveva dei grossi problemi di carattere che lo avevano ancorato intorno a quella posizione. Poi a fine 2011 firma con Josè Perlas, già allenatore in passato, fra gli altri, di Carlos Moya, Juan Carlos Ferrero e Nicolas Almagro, e il suo tennis nel 2013 acquista consistenza, il carattere migliora e riesce a giugno 2013 dopo aver vinto 3 titoli a raggiungere il suo best ranking di n 16 e di n 1 italiano.

E anche per quanto riguarda Murray il cambiamento nel suo tennis con l’arrivo di Ivan Lendl  è stato palese. Ivan Lendl è riuscito a tirar fuori il meglio da Andy portandolo a vincere l’ambito( per entrambi) torneo di Wimbledon e a fargli riacquistare la fiducia in se stesso.

Ma il vero miracolo è stato quello su Serena Williams compiuto dal suo 41enne francese Patrick Mouratoglu che continuiamo ad ammirare ancora adesso.

Unitosi al team della Williams nel 2012 dopo la clamorosa sconfitta al primo turno al Roland Garros, Serena d’allora ha un ineguagliabile record di 104 vittorie e 5 sconfitte.

Che dire dunque? Forse la verità sta nel mezzo. Forse Il vero merito dell’allenatore sta nell’intuito e nel saper tirare fuori ciò che la natura ha messo nei nostri campioni. Sta di fatto che gli uni non esisterebbero senza gli altri,

Dei dell’Olimpo o fantasmi delle ombre di questo antico, meraviglioso sport che è il tennis.

Anna Lamarina

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