“Odio intensamente le discriminazioni razziali, in ogni loro manifestazione. Le ho combattute tutta la mia vita, le continuo a combattere e lo farò fino alla fine dei miei giorni.” (Nelson Mandela).
Negli ultimi giorni i principali media di tutto il mondo, Italia compresa, hanno annunciato il ritorno, dopo 14 anni, di Serena Williams a Indian Wells. Nel 2001, la numero 1 del mondo sconfisse Kim Clijsters in finale, ma trascorse ore nello spogliatoio a piangere. Il perchè è ben noto a tutti ormai. L’americana fu fischiata e, insieme alla famiglia, fu vittima di insulti razzisti. A distanza di tutti questi anni, Serena ha deciso di concedere una seconda chance al pubblico californiano, anche se ha ammesso che non sa come potrebbe reagire se si ritrovasse coinvolta in una situazione simile.
Per lei, la via del perdono è durata 14 anni, ma il coraggio di ritornare a giocare per il pubblico che l’ha fatta soffrire, dimostra che Serena Williams ha vinto anche contro il razzismo deponendo l’ascia di guerra e facendo trionfare il senso del perdono.
L’episodio vide protagoniste Zina Garrison e Pam Shriver (entrambe statunitensi) al torneo femminile di Birmingham. Garrison accusò Shriver (presidentessa delle giocatrici) di razzismo e minacciò anche di dimettersi dal consiglio dell’associazione. Secondo la ex tennista statunitense di colore, l’avversaria Shriver l’avrebbe più volte insultata durante il match. E pensare che insieme vinsero la medaglia d’oro olimpica nella categoria di doppio femminile!
Facendo un salto temporale, il 13 giugno del 2009, l’allora 19enne Brydan Klein, fu squalificato per 6 mesi per aver rivolto insulti razzisti all’avversario sudafricano Raven Klaasen durante un match di qualificazione del torneo di Eastbourne. In più, fu chiamato a rispondere di una multa di 7000 euro.
Il giovane tennista australiano usò l’espressione “Kaffir” rivolgendosi all’avversario. In un primo momento, non risultò chiaro cosa volesse dire esattamente la parola in questione, ma a seguito di un’indagine condotta dall’ATP, il significato del termine fu inequivocabile: “Negro”. Klein fu dichiarato colpevole di condotta antisportiva e qualche mese dopo gli venne offerta la possibiltà di ridurre i mesi di squalifica da sei a due, a patto che frequentasse un seminario di sensibilizzazione sul tema del razzismo.
Lo stesso anno, durante il torneo del Dubai Tennis Championships, Andy Roddick, detentore del titolo, decise di non partecipare al torneo in segno di protesta contro la decisione degli Emirati Arabi di negare il visto all’atleta israeliana Shahar Peer. Nel 2012, il razzismo colpì anche un allenatore del mondo del tennis.
Tony Minnis, ex allenatore della squadra femminile di tennis della Louisiana State University, fu protagonista di una forte discriminazione razziale della quale volle sporgere denuncia. Il coach Minnis denunciò il fatto che gli allenatori “bianchi” ricevessero stipendi molto più alti rispetto agli allenatori di colore. Si parlò di ben 30.000 dollari in più all’anno. In più, secondo l’ex allenatore l’ambiente in cui lavorava era minato da azioni a sfondo razzista. “Io amo la notte perché di notte tutti i colori sono uguali e io sono uguale agli altri… (Bob Marley)” Tutti casi che fanno ricredere sul fatto che il mondo del tennis fosse “incontaminato” dalla macchia scura del razzismo. Tra tutti i casi trovati, sottoponiamo al vostro giudizio quello della bella Caroline Wozniacki, accusata di razzismo nei confronti delle donne di colore per aver imitato Serena Williams durante un’esibizione a Rio de Janeiro, servendosi di imbottiture di carta per imitarne meglio le forme.
Quello che voleva semplicemente essere un divertente intrattenimento, si è trasformato in caos mediatico e, nel giro di poche ore, alcuni blogger si sono scatenati contro la bella danese accusandola di razzismo.
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