La giostra della Fed Cup si è rotta anche in Italia?

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Prima o poi doveva accadere anche a noi, era nell’aria. Da tempo le federazioni tennistiche si trovano a dover lottare con i capricci dei top players, non sempre propensi a giocare nelle competizioni a squadre. Ma se la Coppa Davis mantiene il suo fascino, anche se un po’ appannato da gli anni, non vale lo stesso per la Fed Cup che le giocatrici tendono a snobbare piuttosto spesso. Le nostre ragazze però hanno sempre dimostraro grande attaccamento alla maglia ed onorato e dominato la competizione negli ultimi anni. Ora però il mal di Fed Cup pare aver colpito anche le azzurre: nessuna delle nostre tenniste di punta sarà presente a Cleveland contro gli Usa, privi anche loro delle punte di diamante. Errani, Vinci, Pennetta e Schiavone hanno chiesto di non essere convocate per la sfida di primo turno. Al loro posto ci saranno Karin Knapp, Camila Giorgi, Nastassja Burnett e Alice Matteucci. Il motivo, secondo quanto detto dal Capitano Barazzutti, sta nel fatto di voler alleggerire il carico di lavoro in un momento molto delicato della stagione e dato la devozione sempre dimostrata dalle nostre, è giusto accontentarle. Tra l’altro si gioca in America dopo essere stati in Australia, per di più con ottimi risultati, Sara e Roberta torneranno in Europa per giocare a Parigi, insomma la collocazione geografica degli impegni sembra non aiutare. E poi c’è da dire che sarebbe anche ora di guardare al futuro: Vinci e Pennetta hanno superato i 30, Schiavone va per i 34, un ricambio è necessario anche se significherà inevitabilmente dire addio agli anni d’oro. Roberta, Flavia e Francesca di Fed Cup ne hanno vinte quattro ed è normale che siano assuefatte. La prima il novembre scorso ha rinunciato al Master di Sofia e ad un possibile ingresso tra le prime dieci per giocare la finale di Cagliari. Ha sentito da vicino il profumo della top ten e di una semifinale Slam ed alla sua età è lecito prediligere altri palcoscenici, dopo aver dato e vinto tanto con la maglia azzurra. Medesimo discorso varrebbe per Flavia che ha messo sempre gli interessi personali dietro quelli di squadra. Tra l’altro in azzurro è sempre stata protagonista, ora invece gioca un ruolo marginale ma nel circuito sta sfoggiando forse il miglior tennis di sempre ed assoporando traguardi più prestigiosi ( vedi la semifinale degli Us Open). Ultimo fattore, ma forse più importante, è un polso ballerino che certo è meglio spremere per altre soddisfazioni personali in quello che potrebbe essere l’ultimo anno della sua carriera. Insomma ad una Pennetta ultratrentenne e tornata così competitiva non le si può chiedere di sacrifcare i propri interessi in nome della Fed Cup, dato che l’anagrafe non le permette più di correre su due fronti. Su Francesca non c’è nemmeno da soffermarci più di tanto. “Nostra signora dello Slam” ha dato tutto, non è più competitva come un tempo e fu proprio lei la prima a chiedere già da qualche anno di centellinare il suo impiego in maglia azzurra. A lei, più di Flavia, non dobbiamo proprio chiedere più nulla. Del ricambio generazionale però deve far parte assolutamente Sara Errani che è classe ’87 e con la sua esperienza rappresenterebbe la pietra miliare sulla quale costruire la nazionale del futuro. La sua assenza a Cleveland forse è meno giustificata rispetto a quella delle sue colleghe. Il problema resta il fatto che siamo di fronte ad un primo turno e se si perde si rischia la serie B. Dalle parole di Barazzutti comunque le veterane ( tutte od alcune non si sa) hanno dato disponibilità per i successivi appuntamenti. Insomma sarebbe solo un arrivederci. Comunque prima di criticare le nostre guardiamoci intorno e vediamo quante altre tenniste hanno dato in nazionale tanto quanto loro e soprattutto quante vestono ancora la maglia della nazionale oltre la soglia dei trent’anni. Ora l’unico nodo spinoso sta nella differenza abissale di trattamento tra gli uomini (vedasi casi Bolelli e Seppi) e le donne da parte della Fit. Pare che questa iniquità sia dettata dalle differenze di risultati offerte dal gentil sesso rispetto ai colleghi in calzoncini. Certo però è che la diatriba rimane.

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