Quando Martina Hingis vinse il suo primo torneo del Grand Slam, nel 1997, molti dei suoi fan erano ancora a scuola. Io (il giornalista, ndr) ero uno di questi, ed ero ipnotizzato ed allo stesso tempo estasiato dal suo talento e dalla sua competitività. Ma la stessa competitività sembrava avere una rilevanza minore, un tratto di immaturità, se così si può chiamare, che la rendeva sempre vulnerabile agli occhi delle sua acerrime avversarie. E non ha mai dovuto imporre la sua caparbietà a parole, ma sapeva far uscire la tigre che era dentro di lei, nei momenti giusti. Guardando indietro a quei giorni, sembra che la Hingis, nonostante le spiacevoli situazioni in cui spesso si è ritrovata (doping), abbia saputo combattere le negatività mantenendo in toto una sua integrità professionale. In questi anni seguenti, la maggior parte di questo è però cambiato – e per il meglio. Dove Hingis era sfrenato nella sua prepotenza in passato, lei è ora diventato il minimo di maturità. La sua rincorsa attuale, il suo secondo ritorno nel circuito sono per lei un grande successo, non solo in fatto di titoli e Major, ma anche di cuori che ha saputo far innamorare di nuovo. La sua collaborazione con Sania Mirza e Leander Paes ha infatti portato ottimi risultati (ha vinto tre Slam di doppio misto con Paes, un record in sé, e ha conquistato Wimbledon e US Open al fianco della Mirza) a dimostrazione che nonostante l’età, si può essere ancora competitivi al massimo.
Ci possono essere diverse ragioni da attribuire a questa svolta della Hingis, vittima di se stessa in passato, della sua ingenuità di ragazza e delle tante pressioni accumulate. Ma l’aspetto più significativo in tutto il suo cambiamento è stato proprio nel tempo passato fuori dalle competizioni. Una sensazione da adolescente che viene a contatto con un modo diverso ed ovviamente più complicato da gestire. Il suo comportamento passato quindi si presenta come un atteggiamento naturale, però, a differenza di altri giovani che vivono fuori dai riflettori, la Hingis non ha mai ricevuto la stessa opportunità di essere se stessa al 100% tanto da essere stata “costretta” al ritiro inaspettatamente all’età di 22 anni. In questi anni passati, ci sono stati numerosi cambiamenti nell’approccio alle partite, e sicuramente la Hingis non se li sarà fatti sfuggire. L’umiltà è diventata un aspetto primario nella disciplina. A differenza del passato, in cui i giocatori alcune volte tendevano a provocare i loro avversari, il rispetto è diventato ora parte integrante della competitività di quasi tutti. Non è sintomo di falsità, ma è una qualità che ogni giocatore, indipendentemente dall’età, cerca di crearsi. Un modo per rendere l’atmosfera più sana, e meno astiosa. L’esempio migliore per definire tale concetto è stata la finale dello US Open tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci, dove la Vinci era quasi più felice per la vittoria dell’amica, che triste per la sua. Ovviamente, con le dovute proporzioni. E’ quindi sorprendente vedere una tale evoluzione della Hingis. Si tratta di un immaginario ed interessante contrasto con il suo passato nel quale la baby-prodigio, irrequieta, si è trasformata in una donna serena ed appagata dalla vita.