Dopo il ritiro dal torneo di Guangzhou, Roberta Vinci ha detto la sua sul caso Wada all’edizione di La Stampa di ieri. Riportiamo il testo integrale dell’intervista
Ha seguito il caso delle sostanze dopanti – ma autorizzate dai medici – trovate negli esami di Serena Williams (da lei battuta l’anno scorso agli Us Open)?
«Non ho letto i giornali, ma mi sembra sia stato sollevato un grande polverone che ha a che fare più con la politica che con lo sport. Non posso credere alla malafede di Venus e Serena e comunque non esprimo giudizi: le procedure di cui si parla nemmeno le conosco».
Mai chiesta una «Tue», l’autorizzazione a utilizzare farmaci compresi nella lista proibita della Wada? Magari una pastiglia di cortisone per placare un’infiammazione?
«Non sapevo neanche che si chiamasse così. Il cortisone non l’ho mai preso, anche adesso mi sto curando con Oki, Voltaren e acido ialuronico. Oppure utilizzo laser e ultrasuoni: tutte cose consentite che non richiedono procedure. Piuttosto preferisco non giocare due giorni in più».
L’antidoping della Wada fa così paura ai tennisti?
«Non è questione di paura, ma anche quando i controlli erano meno serrati io ho sempre voluto evitare problemi. Informo chi di dovere di tutto quello che assumo, certo, ma il pericolo di una distrazione è sempre in agguato. Non vale la pena rovinarsi la carriera per una fesseria, quindi meglio evitare proprio di rischiare».
L’anno scorso lei agli Us Open battè Serena, che di infortuni ne ha sofferti parecchi. Il dolore può giustificare l’utilizzo della Tue?
«Dipende dal dolore. E da come ragiona l’atleta. Tutti vogliamo rientrare il più presto possibile, io però resto dell’idea che a volte è meglio fermarsi».
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