Serena nel paese delle meraviglie

Ad essere sincero, sono davvero dispiaciuto per la sconfitta di Serena Williams al cospetto della modesta Madison Brengle, che comunque in me ha sempre suscitato un’inspiegabile simpatia.
Non tanto per il risultato in sè, o per la condizione prevedibilmente lontana da quella che solitamente mostra, ma più che altro per una predisposizione mentale che mi appare completamente disinteressata dal mondo tennistico a cui lei appartiene.
Qualche mese fa, in un dei miei vari momenti di divinazione, avevo pronosticato per la Regina (non me ne vogliano i tifosi filo-tedeschi del Kerber, che proprio non riesco ad identificare come numero uno) un’ultima stagione, questa, conclusa agli Us Open sotto uno scroscio interminabile di lacrime e applausi.
Serena rappresenta, più di ogni altra, la vecchia generazione del nuovo millennio (splendido ossimoro), che la vede ormai come unica rappresentante dopo il simultaneo ritiro delle altre rispettabili avversarie.
Certo, escludendo la mia angelica Radwanska, perfetta ed instancabile perdente, rimane l’unica vera donna in grado di generare spettacolo, togliendo qualche briciola di banale monotonia al grigio panorama attuale. Ma nel 1999 giocò per due volte con Steffi Graf, vincendone una. Un anno dopo nacque Destanee Aiava, divenuta pochi giorni fa la prima tennista nata nel 2000 a vincere un match nel circuito WTA.
Il tempo passa e nello sport ne si ha la più grande dimostrazione.
Il record di 24 Slam, appartenente a Margaret Smith Court, rimarrà dunque ineguagliato e forse ineguagliabile.
Nonostante tutto, però, mi voglio sbilanciare in una nuova improbabile predizione.
Per la Williams, un ultimo Slam in cassaforte ed uscita di scena sotto i riflettori, con salto mortale e doppio avvitamento, che, per effetto domino, scatenerà violenti terremoti in tutto il resto del globo terraqueo.
Unghie smaltate e completi fluo, la dama del tennis vuole dare l’ultima e potente zampata.

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