Auguri a Connors: il primo dei gladiatori

Oggi 2 settembre, compie sessantaquattro anni una delle più grandi leggende del nostro sport: Jimmy Connors. Basterebbero pochi numeri per far capire perché intorno al suo nome volteggi quell’alone di leggenda, che circonda solo pochi prescelti. 109 tornei ATP vinti, 1259 partite vinte e tanto altro. Ma Jimbo con un po’ di nostalgia ci piace ricordarlo sul campo, con la sua Wilson T200, mentre promuove l’ennesima battaglia contro l’arbitro. E per i poveri figli degli ultimi vent’anni come me, maledire il mondo per non aver potuto assistere alle gesta del primo dei gladiatori.

PIU’ NEMICI CHE AMICI – Il proverbio – tieniti stretto gli amici ma ancor di più i nemici – è sicuramente uno dei più citati in casa Connors. Sì, perché gli amici Connors probabilmente li può contare sulle dita di una mano, ricordiamo il rumeno Nastase, con cui si mise a giocare una serie di strampalati doppi che terminarono solo perché a detta di Connors le multe avevano superavano i guadagni. Invece sui nemici Connors potrebbe scriverci un libro. La sua nemesi era il moccioso Mcenroe, cresciuto nel Queens da una famiglia benestante. Jimbo invece è cresciuto in una zona industriale dell’Illinois, dove ti insegnano ad odiare i borghesi come Mac. Lo scontro era inevitabile. Con Borg storia a parte, lo svedese interruppe il suo periodo d’oro detronizzandolo a numero due delle classifiche, però a differenza di quanto successe con Mac non volarono mai parole tra i due anche perché con Borg tutto quello che facevi finiva per ritorcertisi contro. Rimase celebre la frase rivolta a Borg: “Inseguirò quel figlio di buona donna fino in capo al mondo”. Ma il caso più strano sarà sicuramente quello con Aaron Krickstein. Quest’ultimo in un intervista a rivelato che fino allo Us Open del 1991 i due erano buoni amici, il giovane americano andava anche a casa di Jimbo per sessioni di palleggio, ma dopo l’epico quarto di finale di quell’edizione, partita vinta da Connors dopo cinque estenuanti set, Krickstein ha rivelato che Jimbo non gli ha mai più rivolto la parola. O lo ami o lo odi Connors, non c’è niente da fare.
QUEL GRANDE SLAM SFIORATO – Si sente spesso parlare dei due grandi slam di Laver e di quello fatto in due anni da Djokovic, ma anche Jimbo ha da dire la sua su questo capitolo. Nel 1974 Connors era una sorta di cyborg, prende parte per la prima volta nella sua carriera all’Australian Open, e lo vince battendo in finale Phil Dent. Poi a Wimbledon frena sul più bello il sogno di vincere Wimbledon, vent’anni dopo la sua prima finale al trentanovenne Ken Rosewall, umiliandolo con un 6-1 6-1 6-4. Allo Us Open ritrova ancora nonno Rosewall e rincarna la dose con un ancora più severo 6-1 6-0 6-1. A fine stagione Connors ha un bilancio di tre slam su quattro, ma quello che manca, il Roland Garros, non lo ha disputato per una squalifica dell’ATP per la sua partecipazione al World Team Tennis, un’associazione di partite a squadre all’epoca proibite. Connors fece una causa da 10 milioni di dollari all’ATP e al suo presidente, l’odiato Arthur Ashe, alla fine Connors non prese parte a quegli Open di Francia. Ma il dubbio rimane l’avrebbe fatto si o no, il sacro grande slam?
IL CANTO DEL CIGNO – Quando pensi al canto del cigno di Jimmy Connors, ti viene subito in mente lo Us Open del 1991, dove un quarantenne Jimbo si spinse fino alle semifinali. Ma c’è un altro episodio sicuramente meno conosciuto ma probabilmente ancor più significativo. Siamo agli Open di Francia e Connors è riuscito a trascinare fino al quinto il giovane fenomeno Micheal Chang, il pubblico è in visibilio, vuole l’ennesima rimonta del gladiatore americano. Ma al cambio di campo prima dell’inizio del quinto, Connors si avvicina all’arbitro e gli dice “Nelle mie condizioni non posso andare avanti”, l’arbitro risponde chiedendo se è sicuro della sua scelta, Connors risponde ironico: “Si, se lei vuole può prendere la mia racchetta e giocare al mio posto… Io non posso più giocare è finita.” Connors si ritira ma ne esce da vincente, e il Philippe Chatrier gli tributa una standing ovation, probabilmente il primo ed ultimo caso nella storia dello sport, di un ritiro tributato da un’ovazione…

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