Auguri a Rafa Nadal, il Prometeo prestato al tennis

Nadal 12 Roland Garros

Sono passati quattro anni da quando Rafael Nadal sembrava finito. Aveva trent’anni, e di lui, che un decennio fa non si immaginava in campo oltre tale soglia, si diceva fosse la fine. “Il 2017, se non torna ai suoi livelli, potrebbe essere l’ultimo anno”, si sentenziava. Come ci piace fare con tutti, ma con lui soprattutto. Poi Abu Dhabi, e a Brisbane l’intervista stranissima, col sorriso: “Mi immagino altri tre, quattro, anche cinque anni in campo”. Rafa, a suo dire, aveva lavorato bene nella off-season come non gli accadeva da anni. Quel che è successo dopo, oggi è storia.

Nella settimana successiva al suo 31esimo compleanno, tre anni dopo l’ultima volta, ha sollevato ancora la Coupe des Mousqueteres, la Decima (letto possibilmente alla spagnola). Tre anni dopo, “The King of clay” è ancora qui. Ancora al numero 2 del mondo: lo scorso settembre era diventato l’over-30 con più Slam in bacheca (cinque) dopo il quarto Us Open. L’ha eguagliato Novak Djokovic dopo l’ultimo Australian Open vinto a gennaio. Lo stesso uomo senza il quale, oseremmo dire sicuramente, ora avrebbe superato il record di Roger Federer negli Slam.

Nadal Us Open 2019 trofeo

Nel 2010, dopo essere stato il più giovane nella storia a completare il Career Grand Slam a New York, il sorpasso sembrava solo questione di tempo. E invece Djokovic (la nuova versione, o semplicemente quella matura) si è rivelato la sua nemesi. Gli ha tolto tre finali consecutive tra il 2011 e il 2012 e altre battaglie decisive nella conquista dei titoli. E ha rotto la diarchia, tanto da portarci in una situazione surreale. Dopo che anche il serbo si è ripreso da un lungo periodo buio, ci siamo trovati improvvisamente tre giocatori oltre i mitici 14 Major di “Pistol Pete” Sampras. E imperversa la lotta per il chi sia il famigerato G.O.A.T., sui social, nei tg e nei programmi di approfondimento sportivi. Ma anche, ovviamente, nei circoli, nei bar, o pure nelle famiglie. Perché i Big Three hanno portato il tennis ovunque.

È un po’ il dibattito che si vive nel basket NBA, riaccesosi dopo l’uscita della docu-serie dedicata a Michael Jordan e alla sua storia nei Chicago Bulls. Un prodotto che, dovremmo esserne tutti ben consapevoli, non è esattamente un documentario, per citare anche Flavio Tranquillo intervistato da Marco Montemagno. Soprattutto se genera così tante polemiche, che lasciano presupporre un quadro non perfetto della realtà delle cose. E ancor di più se si anticipa la sua uscita, rilasciandolo quando è l’unico prodotto al mondo, nuovo, di cui noi malati di sport, in quarantena e col pianeta bloccato, possiamo fruire.

Sotto un post riguardante “The Last Dance” (mi concedo colpevolmente per una volta la prima persona) ho trovato una considerazione affascinante. E da qui muovono gli auguri che noi di Tennis Circus vogliamo rivolgere a Rafa Nadal, che di anni ne compie 34. Il commento iniziava con il classico: “Smettetela con questo GOAT“. Poi però proseguiva sognante: “Ogni sport non ha una Statua della Libertà, ma ha il suo Monte Rushmore, su cui ci sono i volti dei giocatori più forti di ogni decennio”. Il tentativo di un equivalente col tennis, è stato immediato.

La verità è che volendo prendere alla lettera questo ragionamento, per Nadal bisognerebbe fare un’eccezione (che a dirla tutta sarebbe obbligatoria). L’iberico infatti non è stato il giocatore più rappresentativo né del primo decennio e né del secondo degli anni Duemila. Ma più di Federer, che ha vinto 16 Slam nel primo decennio, e anche di Djokovic che ne ha vinti 15 nel secondo, è stato un giocatore a cavallo di entrambe le decadi. Definirlo co-protagonista sarebbe forse il più grande insulto alla sua storia, ma dei 19 Major ne ha sollevati sei nel primo decennio e 13 nel secondo (quello centrale della sua carriera).

Tutto questo, in realtà, non fa altro che rendere ancora più unica la sua figura nella storia del tennis. Una figura, che a differenza del suo rivale Federer, nella sua iconografia non è rappresentata danzante sul campo, ma nella sua statuaria posa del “pump fist”, che risalta il bicipite sinistro. E anche se lo fermassimo mentre colpisce la palla, in chi non cerca il particolare tecnico come noi pazzoidi, a catturare l’attenzione sarebbe sicuramente la smorfia sul viso. Quanto sopra è semplice osservazione, non certamente un giudizio estetico, quello lo lasciamo a Kant e Baumgarten. Ma anche se lo fosse, non intaccherebbe minimamente l’essenza di ciò che Rafa Nadal è diventato negli anni. Perché mentre nell’iconografia di Federer, la racchetta, senza la quale sarebbe un semplice ballerino, è elemento fondante, il pugno chiuso e il “Vamos” di Nadal, cristallizzato nelle corde vocali tese e la bocca spalancata come una fiera, trascendono il tennis.

Lo trascendono così chiaramente che quando il Real Madrid affronta negli ottavi di finale il Paris Saint-Germain, i francesi vengono accolti al Santiago Bernabeu da un mega striscione, sotto la cui scritta “Vamos Real”, campeggia una gigantografia del tennista spagnolo. Una di quelle in cui il tennis non c’è, ma lui si carica in un adrenalinico urlo di battaglia. Il maiorchino è uno di quelli in cui, anche senza impugnare la racchetta, il suo popolo, e così tanti in giro per il mondo, riescono ad identificarsi. A farne un modello da seguire, tanto che la curva chiede implicitamente undici suoi esemplari in campo nella partita di Champions League.

Rafael Nadal Santiago Bernabeu

E sarà anche strumento commerciale per la sua Spagna, ma quando il figlio del più fervente indipendentista catalano chiederà al padre chi è quel Rafa Nadal a cui è intitolato il Centrale di Barcellona, la risposta non potrà essere mentita. Il ribelle dovrà confessare che, un giorno, ebbe la pelle d’oca nel vedere un uomo che pure tifava Real Madrid. Lo stesso che già oggi, della sua squadra del cuore sogna la presidenza. Dovrà confessare che è stato impossibile non provare ammirazione nel vedere il modo in cui si dimenava sul campo indossando i colori della Rojigualda. Dovrà dire, a suo figlio, che Rafa era il nipote di Miguel Angel, vecchio capitano del Barcellona. E che quando vedeva rosso, il rosso della sua terra di mattoni tritati, sembrava di assistere alla corrida. All’unica corrida del mondo in cui la maggior parte tifa per il toro.

Chissà, se in quel futuro, “RAFAEL NADAL” sarà ancora il nome più ricorrente nell’albo d’oro del Roland Garros. Chissà se nei pressi del Philippe Chatrier sarà finalmente eretta la statua che oggi, nel 2020, è ancora solo un progetto. E chissà se lo scultore avrà voluto catturarlo mentre tiene la Coppa che lo ha reso immortale tra le braccia, oppure se Rafa avrà ancora il pugno chiuso e il segno della competizione sul volto. Chissà se i passanti lo vedranno e lo ricorderanno così.

Nadal Roland Garros 2019

È solito festeggiare il suo compleanno proprio nella settimana del torneo della sua vita, Rafa Nadal. Quest’anno niente highlights e statistiche sempre più irraggiungibili, a giugno. Niente mistica, di cui abbiamo già parlato l’anno scorso, almeno fino a settembre. E niente mitologia, nella città in cui è diventato il Prometeo del tennis, che al posto del fuoco ha spesso cancellato le ambizioni di Grand Slam degli altri due. È capitato spesso, in effetti, che durante le stagioni Djokovic e Federer somigliassero agli dei molto più di lui. Ma agli dei, forse, si addice solo il Paradiso. Alle porte dell’Inferno Rosso c’è il Giudice Minosse, col volto di Rafa Nadal che arde d’ambizione, ma anche di passione e di rispetto. Valori di un tennista e di un uomo unico, Rafael Nadal Parera da Manacor. Auguri, Campione.

Exit mobile version