Il Maestro Sascha Zverev odia (o ha amato) il tennis

Potrebbe darsi che il tedesco provi ciò che provava Agassi, oppure potrebbe non essersi reso conto che il tennis è come Madame Bovary di Flaubert.

Alexander Zverev nove mesi fa aveva ventuno anni ed ha vinto le Atp Finals di Londra sconfiggendo in semifinale Federer e in finale Djokovic. Si è laureato il Maestro più giovane di sempre; i suoi colleghi coetanei una settimana prima avevano giocato le Finals “dei piccoli” a Milano. Lui no: era già pronto per quelle londinesi (che già aveva disputato nel 2017) e le ha vinte. Eppure…

Eppure Sascha Zverev pare disperso in un caos travolgente, naufragante, in cui lo spazio tra la sua ombra e sé stesso sembra diventare progressivamente incolmabile. L’apice è stato raggiunto la settimana scorsa a Cincinnati contro Kecmanovic: il tedesco ha commesso venti doppi falli. Tradotto: ha regalato cinque game e mezzo. Risultato: partita persa, la diciottesima su cinquantatré giocate (Hopman Cup inclusa). Il servizio non è mai stato un problema per Sascha, spesso è stato anzi il suo punto di forza, insieme all’armonico rovescio. Ci sono evidentemente dei problemi che stanno dietro all’aspetto tecnico del suo tennis, oltre al campo da gioco e aldilà di una pallina gialla che va prima di qua e poi di là dalla rete.

I risultati raccolti nel 2019 tracciano il profilo di un giocatore mediocre. Zverev ha trionfato a Ginevra vincendo in finale contro Jarry (unico trofeo della stagione) e ha perso, tra gli altri, da tennisti come Garin, Brown, Vesely e Kecmanovic, appunto. Nessuno dei citati è nei top trenta del mondo, e due di loro sono anche fuori dai cento. Sascha è attualmente il numero sei del ranking Atp; se non fosse chiaro, significa che nel mondo ci sono solo cinque persone che giocano a tennis meglio di lui. Obiettivamente penso che sia vero. Però non batte un top ten da novembre.

Sarebbe scontato e noioso scrivere ancora qualcosa in merito alla querelle con Lendl: ormai anche l’amico di mio cugino che gioca a bridge ogni giorno e che non ha mai visto una partita di tennis nella sua vita sa cosa sia successo (forse lo sa perchè invece è un grande appassionato di golf, ma questa è un’altra storia), con tutto il rispetto, come sempre, per l’amico di mio cugino che tra l’altro a bridge è bravissimo. Zverev e l’otto volte campione Slam si sono separati professionalmente pochi giorni fa, dopo meno di un anno. Il tedesco è assistito ora solo da suo padre, il quale però ha avuto dei problemi di salute che hanno contribuito ad agitare il ragazzo (come quest’ultimo ha riferito). Un’altra situazione che pare togliere ad Alex anche quel poco di tranquillità rimasta riguarda la sua relazione con la bella Olya Sharypova, “che di tanto in tanto va e viene”.

Tra una settimana incomincia lo US Open in cui Sascha ha da “difendere” un terzo turno. Ciò significa che potrebbe guadagnare molti punti e salire in classifica, avvicinando il best ranking (3). Il tabellone conta marginalmente: per migliorare il risultato dello scorso anno dovrà riuscire a separare il lavoro dalla vita fuori dal rettangolo di gioco. Per uno di ventidue anni appena compiuti può non essere scontato o semplice come chi lo attacca fa credere. Deve modificare il proprio mindset.

Ci sono almeno due motivi per cui Zverev si trova nella situazione in cui si trova, oltre agli altri cento che riguardano quello che gli sta intorno. Può darsi che Sascha odi il tennis: se ne sta rendendo poco a poco; gioca da quando era praticamente ancora in fasce e ha capito che la sua vita per almeno altri quindici anni sarà la stessa, sempre identica a sé stessa. Si alzerà sempre alla stessa ora, colpirà ogni mattina e ogni pomeriggio un numero imprecisato di palline e andrà dormire la sera sapendo che quando si sveglierà dovrà fare esattamente quello che ha fatto il giorno prima. Per uscire da questo limbo, dovrà rendersi conto che l’essenza della vita sta proprio nel non voler fare quello che fa ma soprattutto nel non poter smettere di farlo. Per informazioni più dettagliate rivolgersi a uno che si chiama Andre Agassi e che qualcosa, per così dire, in carriera ha vinto.

Oppure, Alex ama il tennis. Lo ha amato molto, e il Master vinto gli ha dato la sensazione di averlo conquistato. Ma poi, come succede anche a noi comuni mortali, accade che quando avverti fortemente di possedere quella cosa che tanto hai desiderato, ai tuoi occhi si svaluta e non è più bella e intrigante quanto lo era prima, quando ancora non era tua. Se fosse questa l’ipotesi corretta, sarebbe bene che Sascha capisca che il tennis è come la Madame Bovary di Gustave Flaubert. Chi vuole capire, ha capito.

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