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Us Open 2018: resoconto di un torneo ai confini della realtà

Sventolano le bandiere del Giappone e della Serbia sul campo centrale Arthur Ashe Stadium del Flushing Meadows grazie a Novak Djokovic e a Naomi Osaka vincitori degli Us Open 2018; sventolano in un’aria calda, umida, pesante che è stata un po’ la protagonista di tutto il torneo.    

Sconfitte imprevedibili, scorrettezze, casi discutibili: di tutto un po’ è successo al 50° anniversario degli US Open, quarto e ultimo Grande Slam della stagione.

Che tirava aria strana lo si è potuto già intuire dalla prima partita in cui Simona Halep, numero uno del ranking femminile, è stata sconfitta malamente dalla numero quarantaquattro, Kaia Kanepi; per proseguire con le sconfitte, già ai primi turni, della seconda del ranking Caroline Wozniacki e della quarta Angelique Kerber. Nel torneo maschile sono arrivate troppo presto le disfatte di Roger Federer e di Alexander Zverev, rispettivamente teste di serie numero quattro e cinque.  

Si sa, una partita inaspettatamente persa fa parte del gioco, soprattutto quando sei in dirittura d’arrivo della stagione in cui gambe e mente cominciano a venire meno anche se il cuore è in ogni pallina giocata, in ogni colpo sferrato.

Tuttavia questa edizione degli Us Open non sarà ricordata solo per gli insuccessi dei favoriti ma anche per i casi insoliti e gli eventi al limite della regolarità. A partire dal caso di Fernardo Verdasco che, durante la pausa di dieci minuti per il caldo, ha infranto le regole parlando con il suo allenatore ai danni di Andy Murray che è andato prontamente a lamentarsi.

Fatto insolito anche durante il match tra Pierre-Hugues Herber e Nick Kyrgios: quest’ultimo si è visto piombare addosso il giudice di sedia, Mohamed Lahyani, che lo ha esortato a giocare meglio facendo una sorta di coaching; da quel momento in poi l’australiano ha dominato la partita vincendola.

Un gran putiferio ha scatenato Alizé Cornet, durante la partita con Johanna Larsson, cambiandosi la maglia in campo e mostrando un reggiseno ma dall’aspetto pudico e sportivo. Tra chi l’ha criticata e chi l’ha difesa, di fatto l’accaduto ha messo in evidenza le chiare differenze tra uomini e donne: ai primi è permesso il cambio di maglia, alle seconde no perché appare un comportamento inappropriato.

Altro episodio, dai contorni quasi paranormali, è da riferirsi a Lesia Tsurenko che sembrava sull’orlo del ritiro per problemi fisici  quando poi ha confessato di aver visto un’ombra, da lì in poi si è ripresa ed ha vinto il match contro Marketa Vondrousova che l’ha accusata di aver recitato.

Questi Us Open non potevano che concludersi con una finale femminile da urlo tra la Osaka e Serena Williams, dove l’americana non era proprio serena. Il presunto coaching, il lancio della racchetta e le offese inveite contro il giudice arbitro, Carlos Ramos, definendolo “ladro”, le son costati prima un warning, poi la perdita di un punto e in seguito di un game: scelte che hanno portato la tennista ad un escalation di rabbia, lasciandosi andare a scenate e lacrime. Intanto l’eco dei gesti della Williams risuona ancora il giorno dopo più della vittoria della povera giapponese che, in fase di premiazione, a causa dei fischi versava lacrime di tristezza piuttosto che di gioia, rovinando un sogno fantasticato da tempo. 

Aria strana ha tirato, ma non si può dire che non abbia anche soffiato aria di cambiamento con le vittorie della Osaka e di Djokovic: una nuova stella è nata e una è tornata a brillare.       

Isabella Bonciani

Redazione Tennis Circus

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