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Andrey Rublev, bastardo senza gloria?

Sono il tenente Aldo Raine, sto mettendo insieme una squadra speciale e mi servono i miei otto soldati. Otto soldati americani ed ebrei. Una volta che saremo in territorio nemico, come guerriglieri in agguato alla macchia, faremo una cosa e una sola: uccidere i nazisti.  Ogni uomo sotto il mio comando mi dovrà cento scalpi di nazisti e io li voglio i miei scalpi! E ciascuno di voi mi darà cento scalpi nazisti strappati dalla testa di cento nazisti morti. O ci resterà secco nel farlo.

Quello appena letto è un  segmento del memorabile discorso motivazionale che il tenente Aldo Raine, protagonista del capolavoro tarantiniano ‘Bastardi senza Gloria’, rivolse al suo sgangherato manipolo di ardimentosi combattenti, disposti a qualsiasi tipo di efferatezza pur di porre fine all’abominio nazista. Se non fosse per una mera questione anagrafica, un tennista meglio di chiunque altro avrebbe potuto aggregarsi alla succitata squadra di spietati vendicatori: il suo nome è Andrey Rublev.

Ad una prima e superficiale occhiata, in realtà, il denutrito moscovita non incute alcun tipo di timore, per via di quell’ingannevole combinazione tra esilità e candore cutaneo. Sono sufficienti pochi minuti di visione di una sua qualsiasi partita, però, per fugare ogni dubbio sulla natura demoniaca dell’indomabile 18enne russo. Nel corso del suo breve apprendistato nel mondo professionistico, Rublev ha già avuto modo di inimicarsi buona parte dei colleghi, ottenendo trasversale biasimo, senza distinzione di età, etnia e rango. Il più promettente discepolo di Mefistofele, fino a pochi giorni fa, si era guadagnato le attenzioni dei media principalmente per le sue infami marachelle, in particolare quelle riservate a Fernando Verdasco e Renzo Olivo. Contro lo spagnolo, Rublev, al suo esordio in un torneo del circuito maggiore, mise a nudo tutta la friabilità mentale del vitellone iberico, aggiudicandosi la sfida al terzo set, dopo aver enfatizzato in modo melodrammatico un principio di crampi. A fine partita il madrileno gettò più di un’ombra sull’autenticità dell’infortunio occorso a Rublev, rincarando la dose alludendo a svariate ed imprecisate scorrettezze orchestrate dall’avversario nel corso di tutta la partita

A meno di un bimestre di distanza, Andrey pensò bene di lordare ulteriormente la propria fedina tennistica, passando dalle provocazioni  alle intimidazioni, stavolta rivolte all’argentino Renzo Olivo. Nel corso del secondo turno del Challenger di Mosca, Rublev sottopose l’avversario ad un logorante stillicidio di angherie, demolendo ogni inibizione residua nel finale di match, quando il russo si spinse fino alle esplicite minacce personali nei confronti del rivale. A sugellare questa trilogia criminale ricordiamo, con infinito struggimento, uno degli episodi più surreali della storia recente del tennis, andato in scena nel corso dello spareggio di Davis tra Russia e Italia. Nell’occasione Rublev, dopo aver perso il primo set del match d’apertura contro Fognini, al termine di un tie break lungamento dominato, trascorse i successivi 70 secondi a sparare palline contro il tetto del palazzetto siberiano, brandendo la racchetta come un kalashnikov. Persino Fogna, baronetto incontrastato dell’iracondia, non riuscì a nascondere il prorpio imbarazzo innanzi ad una visione così disturbante.

 

Una deriva comportamentale che, unita alle fioccanti battute a vuoto raccolte nel resto del 2015, rischiava di mutilare la decantata predestinazione tennistica di Rublev, inabissandolo nel ruolo di marginale macchietta di insuccesso. Il neo patentato russo, però, è riuscito ad eludere le morse di questo circolo vizioso, aggiudicandosi non più di 48 ore fa il Challenger francese di Quimper, ottenendo il primo successo in un torneo ATP. Un’affermazione che potrebbe porre un provvisorio argine all’irrequietezza del nostro fuscello satanico, in attesa di trovare l’improbo compromesso tra dannazione ed estasi. Ciò di cui siamo certi è che Rublev, all’interno di un panorama tennistico così omologato e castrante, specie nei confronti di quei pochi soggetti dotati di personalità ed anticonformismo, sia una selvatica rarità da preservare a tutti i costi. Davai Andrey,  piccolo bastardo (non più) senza gloria.

Gabriele Micottis

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