I coach nel mirino: Darren Cahill

Sono pochissimi gli allenatori di tennis che possono vantarsi di aver portato due giocatori al numero uno del mondo (Agassi e Hewitt), e aver lavorato con atleti del calibro di Murray e Verdasco o ottime tenniste come Ivanovic, Hantuchova, Cirstea e Halep. Darren Cahill un giorno potrà raccontare tutto ciò ai propri nipoti, e la sua carriera di coach è tutt’altro che conclusa.

Darren Cahill nasce ad Adelaide il 2 Ottobre del 1961. Cresce in una famiglia di sportivi: suo padre, infatti, è un famoso ex giocatore e allenatore di football australiano. L’aussie è sposato con Victoria, i due vivono a Las Vegas con i loro due figli, Benjamin e Tahlia. E’ stato soprannominato “killer”, ha ottenuto buoni risultati in singolo e ottimi in doppio, non era un campione, ma forse, senza i tanti guai fisici avrebbe avuto una carriera migliore. Cahill diventa professionista nel 1984. Ha vinto il suo primo titolo di doppio nel 1985 al torneo di Melbourne Outdoor. Dovrà aspettare altri due anni per alzare il primo trofeo di singolare: a New Haven, diventa campione spazzando via in finale l’americano Dan Cassidy. Darren otterrà altri due titoli a Gstaad e a San Francisco rispettivamente ai danni di Hlasek e Gilbert. Il biennio 1988-89 sarà il periodo migliore per il tennista di Adelaide. Nella prima annata ottiene svariati successi in doppio in coppia con il connazionale Mark Kratzmann, mentre in singolare la semifinale agli US Open che rimarrà il suo migliore risultato in un torneo del Grande Slam. Nella grande mela sconfigge tra gli altri Becker e Aaron Krickstein, prima di arrendersi a Mats Wilander futuro vincitore del torneo. Nel 1989 col fido Kratzmann raggiungerà la finalissima agli Australian Open ma la fortissima coppia a stelle e strisce Leach e Pugh sono di un’altra categoria. Il 24 aprile raggiungerà la posizione di numero ventidue del mondo che sarà il suo best ranking in assoluto. Da quel momento inizia il declino di Darren, specialmente in singolare, anche perché martoriato da continui problemi alle ginocchia: dopo una decina d’interventi chirurgici alla fine Cahill si arrende e nel 1995 abbandona l’attività agonistica.

Tipico australiano di quella generazione, ossia giocatore prettamente d’attacco che faceva spesso uso del serve and volley. Il gioco di volo era, infatti, il suo marchio di fabbrica, quando era nei pressi della rete passarlo era molto complicato. Il più grande rimpianto di Darren Cahill è stato sicuramente Wimbledon. In quei tempi sull’erba la palla volava e i giocatori con le sue caratteristiche e i suoi schemi offensivi facevano sempre parecchia strada ai “Championships”. Invece l’aussie ha sempre faticato sui prati londinesi, tanto che non si è mai spinto oltre il secondo turno. Una sorta di maledizione per un giocatore che sull’erba giocava veramente bene. In Coppa Davis Cahill raggiunse la finale con l’Australia nel 1990. I canguri perdono 3-2 dagli Stati Uniti in finale. Cahill, nella competizione a squadre più importante del tennis, può vantare il record di essere imbattuto nei doppi giocati, con quattro vittorie e nessuna sconfitta.

Una volta appesa la racchetta al chiodo, l’australiano si dedica al coaching. Come allenatore Darren si dimostra da subito molto capace e intelligente. Capisce fin da subito che il tennis è in lenta ma inesorabile evoluzione, sta diventando uno sport sempre più fisico con il baricentro spostato verso la linea di fondo campo. Impossibile traslare il suo gioco e le sue caratteristiche ai suoi pupilli. Cahill allenerà esclusivamente giocatori “moderni”, tennisti di pressione da fondo, e non cercherà mai di stravolgere le loro caratteristiche, trasformandoli in giocatori d’attacco o forzandoli a diventare più offensivi. Ha lavorato sapientemente sul materiale umano a propria disposizione, focalizzando la sua attenzione sulla preparazione fisica, sugli spostamenti sulla percentuale nella prima di servizio. Magari ha provato a completare il gioco dei suoi protetti con l’arte della verticalizzazione a rete, ma non sempre ci è riuscito. “Penso che sia quasi impossibile giocare il tipo di tennis che giocavo io al giorno d’oggi e avere successo. L’evoluzione dei materiali l’ha reso molto più difficile, dato che lo spin che un giocatore può dare sulla palla ora è enorme. Ciò significa che ci si può difendere meglio, chiudere una volee è più difficile, e i passanti e i lob avranno percentuali superiori di successo, tutto ciò equivale a renderlo incredibilmente impegnativo e rischioso. “Detto questo, è ancora un valido strumento da usare. Non si allenano abbastanza i colpi al volo in età precoce per assicurarsi che la nuova generazione sappia disimpegnarsi a rete e fare tre passi in avanti quando è richiesto”.

Nel 1998 per tre anni diventa l’allenatore di Leyton Hewitt. “I campioni del passato avevano tutti una zona in cui si sentivano più a loro agio. Il rovescio di Sampras, per esempio, era tutt’altro che straordinario, così come non lo erano i movimenti di Agassi. Tutti avevano una debolezza. Lo Hewitt di quel periodo non ne aveva”. Non è mai stato simpatico. Non è stato baciato dagli dei del tennis, né nel fisico né nella tecnica, si muoveva benissimo, ma non possedeva un grandissimo talento. In pochi avrebbero pensato che Leyton Hewitt, sarebbe diventato…Leyton Hewitt. Cahill crede fin da subito in questo sfrontato ragazzo australiano, nella loro prima stagione insieme Hewitt conquista il suo primo titolo ad Adelaide, diventando uno dei più giovani vincitori a livello ATP. L’anno successivo giocò quattro finali aggiudicandosi però un solo torneo a Delray Beach, battendo in finale Xavier Malisse. Guadagnò novantuno posizioni nel ranking mondiale e chiuse l’anno come numero venticinque del mondo. Leyton, grazie ai preziosi suggerimenti di Cahill, diventa anche un ottimo doppista e nel 2000 vinse il suo primo torneo del Grande Slam quando insieme a Max Mirny si aggiudicò il titolo agli US Open. Durante quell’annata vinse in singolare ad Adelaide, Sydney, Scottsdale e al Queen’s, e chiuse la stagione per la prima volta come numero uno australiano, alla posizione numero sette del ranking mondiale. Il suo primo torneo del Grand Slam in singolo arrivò nel 2001, sempre agli Us Open, dove sconfisse il quattro volte campione Pete Sampras in 3 set 7-6 6-1 6-1. Nel 2001 oltre agli US Open vinse i tornei di Sydney, al Queen’s, Hertogenbosch, Tokyo e la Masters Cup di Shanghai dove batté in finale Sébastien Grosjean. Chiuse l’anno con ottanta vittorie e diciassette sconfitte e come numero uno del ranking mondiale, il più giovane della storia, a soli 20 anni e 8 mesi. Il rapporto fra i due si chiuderà a fine stagione, proprio sul più bello quando il giovane “Aussie” era all’apice del successo. Non si saprà mai come sono andate veramente le cose, la rottura è stata improvvisa e ha suscitato parecchio scalpore. In molti pensano che il motivo principale siano i rapporti tesi che si erano creati fra Cahill e i genitori di Hewitt, gelosi del rapporto sinergico che si era creato fra il figlio e il suo coach e che si sentivano tagliati fuori dalla crescita professionale del proprio erede.

Darren rimane disoccupato per poco, poiché nel 2002 Andre Agassi lo vuole con sé, nel proprio angolo. Per Cahill si prospettava un’esperienza lavorativa, totalmente differente rispetto alla precedente, quasi antitetica. Con Leyton da Adelaide il coach australiano ha preso un giocatore giovanissimo e pieno di potenziale, portandolo a numero uno del mondo, il “kid” di Las Vegas, invece, nel 2002, aveva trentadue anni e aveva già vinto tutto. Cahill è stato bravo a motivarlo e dargli ancora degli stimoli limare i dettagli di un gioco unico, ormai consolidato da anni. “Era uno studente del gioco. Voleva che un allenatore guardasse il tennis attraverso i suoi occhi per capire quello che sentiva durante i tempi buoni e cattivi, per cui il nostro rapporto si basava enormemente sulla comunicazione. Era preciso e chiaro con le sue domande sui suoi avversari. Voleva sapere come poteva disorientarli, come i suoi punti di forza potessero essere intaccati e come i suoi avversari potessero metterlo in difficoltà. Non era un fulmine come gli atleti di oggi, ma si muoveva bene e poteva cuocere gli avversari a fuoco lento. Penso che mentre invecchiasse si è reso conto che ci sono diversi modi per vincere una partita e usare sempre il tuo piano A non è sempre stata la migliore strategia. È diventato più disposto a soffrire e difendersi, ed è stato molto contento nel fare le cose che negli anni passati non credeva possibile. È una persona speciale”. Nel 2003 Agassi vince il suo ottavo e ultimo titolo del Grande Slam agli Australian Open, battendo in finale Rainer Schüttler in tre partite. In marzo vince per la terza volta consecutiva (e sesta in carriera) Key Biscayne, stabilendo il primato di diciotto successi consecutivi nella competizione. Il 28 aprile 2003 torna per l’ennesima volta numero 1 del mondo. Cahill dopo aver allenato il più giovane numero uno ATP, ottiene un altro primato visto che Agassi diventa il giocatore più anziano a raggiungere tale traguardo (33 anni e 13 giorni); due settimane dopo lo cederà a Lleyton Hewitt; lo riconquisterà nuovamente il 16 giugno 2003 conservandolo per altre 12 settimane.

Darren Cahill e Andre Agassi con il trofeo degli Australian Open 2003
Darren Cahill e Andre Agassi con il trofeo degli Australian Open 2003

Nel 2004 il trentaquattrenne Agassi, acciaccato da qualche infortunio dimostra comunque di poter ancora essere ancora competitivo conquistando il Master series di Cincinnati. Termina l’anno al numero otto della classifica mondiale. Nel 2005 viene eliminato nei quarti di finale da Roger Federer e nei tornei successivi Agassi gioca sempre a buon livello ma non riesce ad aggiudicarsi nessun titolo. Dopo una stagione sulla terra piuttosto mediocre raggiunge la finale al Canada Masters, venendo sconfitto dal nuovo numero due del mondo Rafael Nadal. All’US Open contro ogni previsione riesce ad arrivare fino in finale ma viene nuovamente battuto da Roger Federer; comunque un grande risultato per Agassi che ottiene anche un trionfo di pubblico. Nel corso del 2006 annuncia il suo ritiro dopo il torneo che aveva sempre più sentito, l’US Open. Nel torneo perde al terzo turno giocando sull’Arthur Ashe Stadium il 3 settembre, contro il giovane tedesco Benjamin Becker, in quattro set.

Dopo il ritiro di Agassi Cahill aderisce al “Adidas Player Development Program” e fornisce consulenza a giocatori di alto profilo, tra cui Andy Murray, Ana Ivanovic, Fernando Verdasco, Daniela Hantuchová, Sorana Cîrstea. Oltre al coaching dei singoli giocatori diventa l’allenatore della squadra australiana di Coppa Davis (dal 2007 fino al febbraio 2009) e commentatore televisivo di tennis per una rete australiana. Nel 2016 Cahill prende il posto del rumeno Victor Ionita come coach di Simona Halep, seguendo a tempo pieno la giocatrice. Simona è già una giocatrice affermata, e numero cinque WTA, ha vinto tornei importanti, ha sfiorato il successo in un Major a Parigi, quando ha dovuto cedere 6-4 al terzo set contro Maria Sharapova. Scegliendo Cahill la tennista rumena spera di poter fare il salto di qualità che gli manca per diventare una giocatrice vincente ai massimi livelli, l’australiano vede in lei una giocatrice, che in un momento di transizione del tennis femminile, può primeggiare per diversi anni sulla scena del circuito WTA. Darren rispettando la sua metodologia di lavoro non stravolge il gioco e le caratteristiche della rumena ma cerca di potenziare i punti di forza e limare alcune sue carenze. La coppia australiano – rumena lavora molto sulla prima (abbassando leggermente il lancio di palla) e sulla seconda di servizio, sul dritto che ogni tanto la faceva disperare, e specialmente sull’attitudine agli incontri. La tennista dell’est mentalmente non è certo inappuntabile, nei momenti decisivi delle partite, infatti, non è mai stata “cuor di leone”. Quando la partita entra in lotta, s’innervosisce piuttosto facilmente, altre volte non sa reagire alle difficoltà e rinuncia proprio a giocare certi match smettendo da subito di combattere. Cahill ha cercato di tranquillizzare la rumena e renderla più convinta dei propri mezzi. In parte ci è riuscito, in parte il lavoro è ancora lungo. La prima stagione di connubio professionale porta buoni risultati, la Halep raggiunge i quarti sia a Wimbledon sia Flushing Meadows, e vince a Bucarest e soprattutto a Madrid e Montreal. La rumena è entusiasta dell’apporto che Darren Cahill ha dato al suo staff tecnico e i due proseguono la loro collaborazione anche nel 2017. Ma la stagione parte male, la tennista di Costanza ottiene risultati piuttosto deludenti, con il torneo di Miami che rappresenta il punto più basso del loro sodalizio. Nei quarti di finale la Halep butta alle ortiche un secondo set praticamente vinto contro la Konta, manda candidamente a quel paese Cahill quando scende per il coaching, e nel terzo smette di lottare cedendo 6-2. Il coach di Adelaide è furioso con la sua giocatrice, rea di aver un atteggiamento troppo negativo appena sorge un problema e quindi avere in generale una attitudine negativa ai match. I due si lasciano momentaneamente, ma Simona si rende conto dell’importanza del suo allenatore, chiede scusa e cerca di cambiare atteggiamento in campo. Gioca senza coach per un paio di tornei, poi ritrova Cahill a Madrid, giusto in tempo per bissare il successo dell’edizione precedente. La stagione su terra continua con la finale a Roma e con la seconda finale Slam a Parigi. Una scatenata Jelena Ostapenko sconfigge la Halep in tre set, con la rumena che spreca un break di vantaggio nel secondo e due break nel terzo. Oltre alla delusione per il Major sfumato di poco, anche quella di non essere diventata numero uno WTA. La ricerca della prima posizione mondiale sembra diventata una sorta di maledizione per la giocatrice ventiseienne. A Wimbledon gli sarebbe bastata una semifinale ma Joanna Konta la sconfigge in tre parziali, con la rumena che si ferma a due punti dal sogno, quando conduceva 5-4 e servizio al tie-break della seconda frazione. Negli ultimi mesi comunque Cahill sembra riuscito a plasmare la psiche un po’ ballerina della sua pupilla, che sembra più calma e più incline a combattere anche quando i match si mettono male.

Darren Cahill e Simona Halep

Quello che il coach australiano non è ancora riuscito a fare è completare il gioco della sua allieva. Alla tennista di Costanza manca totalmente la fase di verticalizzazione, la sua confort zone è la linea di fondo campo e difficilmente fa due passi avanti anche quando il punto lo richiederebbe. Un vero peccato perché le poche volte che la Halep, per sbaglio, si avventura a rete, ha dimostrato più volte di possedere una buona manualità. Alla fine del 2016 Simona Halep aveva esternato il desiderio di confermare Cahill e tutto il suo staff fino alla fine della propria carriera. Difficile che la cosa possa realizzarsi, nel mondo del tennis le varianti da tenere in considerazione sono veramente troppe per fare progetti così a lungo termine. Probabilmente le avventure e i giocatori da allenare per questo pacato e signorile giramondo australiano non sono ancora finite. Quello che è certo che fino ad ora, con gli unici giocatori con cui ha collaborato a tempo pieno, (Hewitt e Agassi) è riuscito a raggiungere la prima posizione mondiale, siamo certi che continuerà con Simona finché riuscirà ad ottenere anche con lei questo traguardo.

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