A lezione da Carlos Martinez

Per farsi un’idea di chi sia Carlos Martinez è sufficiente vederlo in campo, per pochi minuti, durante un qualsiasi allenamento. Carlos è un turbine di consigli, di incitamenti, di stimoli destinati a spronare, a incoraggiare, a motivare, la persona che si trova al di là della rete. Può trattarsi di una duplice campionessa slam come Svetlana Kuznetsova oppure di una bimbetta di otto anni che frequenta la sua Accademia ma lui non si risparmia mai, riflette tutto il suo entusiasmo, è un distillato di energia positiva. Non è semplicemente un coach eccezionale dotato di una professionalità innata, tra l’altro maturata insieme a tanti anni di esperienza; ciò che più colpisce in lui è come sia riuscito nella complicatissima impresa di equilibrare il bagaglio di competenze con una dimensione umana palpabile. Poter contare su un coach come Carlos Martinez significa sapere di avere accanto a se’ un porto sicuro.

Un’oasi è anche la sua Accademia, la CMC Competition, che ha sede presso il Circolo Tennis MolletEl Calderi”, cittadina a una ventina di chilometri da Barcellona. Sette campi da tennis in terra rossa e uno in cemento, una palestra fornitissima, un campo da calcetto, sei strutture per il paddle, due splendide piscine scoperte, un ristorante raccomandabile, spazi interni contraddistinti da saloni immensi; il tutto immerso nel verde, tra la pace delle colline spagnole. Di grande valore è anche lo staff tecnico: oltre al suo direttore Carlos Martinez che, come è noto, è coach di Svetlana Kuznetsova, vi sono Victor López – membro dello staff iberico di Coppa Davis e Fed Cup -, José Maria Vicente – che nel 2015 ha lavorato con Roberto Bautista -, Freddy Lucciani – ex sparring di Venus Williams -, Yasuo Nishioka – attualmente membro del team del fratello Yoshihito Nishioka -, Didac Pérez – ex n.160 ATP -, nonché il preparatore atletico di Pablo Carreno.

CMC12

Scambiare qualche parola con Carlos Martinez rappresenta un’occasione per avere conferma della sua grande caratura, sia professionale che umana. Per prima cosa, la cordialità, la disponibilità con cui si rapporta, testimonia come anche ad altissimo livello l’umiltà possa rappresentare una marcia in più, una chiave di volta verso il successo. In secondo luogo, traspare una passione indescrivibile, un vero e proprio amore incondizionato nei confronti del tennis. E così, in piena off season, lontano dallo stress del circuito bensì nella sua Mollet del Vallès, durante una giornata accarezzata dal sole, è un vero piacere sentirlo raccontare di come sia nata la sua passione per il tennis: «Da bambino giocavo a pallamano, però i miei genitori erano soci in questo Circolo Tennis e così a dieci anni un pomeriggio ho preso per la prima volta la racchetta in mano. Ne sono subito rimasto incantato! Ho iniziato a giocare tutti i sabati, però l’anno dopo non mi bastava e ho incrementato le giornate, arrivando ad allenarmi tre giorni alla settimana. Mi sono anche iscritto ai primi tornei locali, ma anche se perdevo sempre mi divertivo così tanto che appena potevo venivo qua al Circolo Tennis a giocare. In estate poi, ero sempre qua, dalle 10 di mattina alle 8 di sera! E se non c’erano altri bambini, palleggiavo contro il muro per ore»

Le cose si sono fatte più serie verso i quattordici anni iniziando ad allenarsi tutti i pomeriggi mentre «l’anno dopo per potermi dedicare ancora di più al tennis mi iscrissi a una scuola serale che frequentavo dalle 5 alle 10 di sera. In questo modo potevo allenarmi dal mattino fino alle 2 del pomeriggio».

Ebbene, che genere di giocatore è stato Carlos Martinez, ex n.380 ATP in singolare e 180 in doppio? «Avevo nel servizio e nel diritto i miei colpi migliori. Non ero il tipico giocatore spagnolo coriaceo da fondo campo, provavo a giocare in modo aggressivo, ma pur avendo buoni colpi non ero sufficientemente solido mentalmente; così magari mi capitava di vincere belle partite, ma non ero continuo nel rendimento. Poi ho avuto diversi infortuni seri che hanno compromesso la mia carriera… Sono stato operato alla schiena per tre volte. La prima volta a diciotto anni, che e mi ha comportato sei mesi di stop, poi, dopo un paio d’anni ho avuto un secondo intervento chirurgico e nuovamente sono rimasto lontano dal tennis per altri sei mesi… Mentre l’ultima operazione, a venticinque anni, mi ha obbligato ad abbandonare l’agonismo».

Terminata la parentesi agonistica però è iniziata la l’esperienza come coach… «In quel periodo mi allenavo nell’Accademia Sanchez Casal e ho iniziato a lavorare lì, prima accompagnando ai tornei alcuni ragazzi nel circuito minore, poi da settembre 2001 ho seguito per un anno un gruppo ATP che disputavano Futures. Nel 2002 sono passato a un gruppo di giocatori top 100, Germàn Puentes, Gorka Fraile e Oscar Hernàndez… Questo fino alla stagione successiva, quando ho avuto un’offerta per entrare in un’altra Accademia da parte di Francisco Roig, che avrebbe poi fatto parte del Team di Rafael Nadal ma che all’epoca aveva un gruppo di lavoro insieme a Jordi Vilaro. Lì ho allenato Carlos Cuadrado – che tre anni prima aveva vinto il Roland Garros Juniores – e Didac Pérez. Nel tempo si sarebbero poi aggiunti Feliciano Lopez e prima ancora Galo Blanco. Ed è proprio nell’Accademia di Galo, che gestiva insieme a Fernando Vicente, che mi sono spostato nel 2011. Fu questione di poco tempo perché nel novembre 2012 ho iniziato a lavorare con Svetlana Kuznetsova per quindi gettare le basi anche della CMC Competition, qui, nel mio circolo originario di Mollet».

Quando parla di Svetlana si illumina: d’altronde a unirli non è solamente una collaborazione tennistica, ma un’amicizia vera. E probabilmente il loro rapporto è tanto prezioso proprio perché si è definito e consolidato strada facendo. «Dopo aver lavorato per sei mesi, in seguito alla sua sconfitta al primo turno al torneo di Roma, quando perse nettamente contro Simona Halep, sentimmo che qualcosa non funzionava e pensammo di staccare. Fu questione di pochissimo tempo. Il Roland Garros cominciava di domenica e doveva affrontare Ekaterina Makarova quando il sabato sera, erano le 11 passate, leggo un suo sms in cui mi chiede consiglio su come giocare. Passa un’ora e mi arriva un altro messaggio in cui mi chiede: Carlos, puoi venire a Parigi? Andò bene, raggiunse i quarti, strappò un set a Serena Williams… E da allora il nostro rapporto di fiducia si è rafforzato anche se decidemmo di alternarci alla guida con Herman Gumy e saltuariamente Anastasia Myskina. Questo per un altro annetto, finché abbiamo deciso di lavorare solamente insieme».

I grandi risultati conseguiti da Svetlana Kuznetsova in questi ultimi tre anni, il ritorno in top 10, sono sotto agli occhi di tutti ed è inevitabile riconoscere i meriti di Carlos, eppure lui tende a precisare come per una giocatrice con un passato tanto importante – tra il 2004 e il 2010 aveva infatti conquistato due slam ed era stata n.2 del ranking WTA – attraversare quattro stagioni difficili in cui è crollata oltre la 70esima posizione in classifica «a livello mentale comporta uno sforzo inimmaginabile perché non eri abituata a perdere e a un certo punto devi riabituarti a vincere, perché vedi che ti superano giocatrici che hai sempre battuto, perché gli anni passano e pensare che devi rimetterti in gioco, che devi ricominciare a lavorare duro non è facile. Per me è tutto merito di Sveta: si è rimodellata, è tornata a lavorare duramente. Nel 2016, a 31 anni è stata la giocatrice che ha vinto più match al terzo set, questo dice tutto!».

Eppure c’è stato un momento in cui Carlos ha capito che sarebbe tornata al vertice: «Penso che qualcosa in Svetlana si sia sbloccato al torneo di Stoccarda, nel 2014, dove ha battuto Simona Halep in due set. Credo che da quel torneo sia cambiata la sua attitudine, la sua routine, anche mentale. Credo che il nostro lavoro abbia avuto un salto di qualità». E ad agosto rivinse un torneo dopo quattro anni, a Washington…  «Fu molto importante… Svetlana capì che poteva tornare a vincere tornei».

Riguardo ai match vinti da Svetlana che più gli sono rimasti nel cuore, non ha dubbi: «La più grande emozione per me è stato quando ha battuto Agnieszka Radwanska al primo match del Master, nel 2016. Io non potevo crederci! Sabato, alle 4 del pomeriggio aveva vinto il torneo di Mosca e solo allora aveva avuto la certezza di qualificarsi per il Master. Alle 10 di sera eravamo sull’aereo per Singapore. Siamo arrivati nel tardo pomeriggio e subito è andata ad allenarsi. E il giorno dopo era in campo con Agnieszka. Era stanchissima perché il torneo di Mosca le aveva provocato moltissima tensione, ormai la stagione era finita, aveva avuto un anno molto bello: poteva rilassarsi, invece Svetlana ha voluto vincere e ha vinto. Poi, certo, è stata fantastica pure la vittoria, due giorni dopo contro Karolina Pliskova. Ricordo con tanto piacere anche la vittoria al torneo di Sydney e pure quando ha battuto Petra Kvitova al Roland Garros, nel 2014, dopo una maratona infinita… Però quel match contro la Radwanska è stata un’emozione indescrivibile, avevo i brividi!».

E le sconfitte più dolorose? «Due finali: quella di Estoril 2014 persa contro Carla Suarez Navarro, e la finale di Indian Wells, quest’anno, quando ha perso contro Elena Vesnina.»

Se gli si chiede su come sono soliti improntare il lavoro, lui e Svetlana, spiega: «Noi ci occupiamo di tutte le parte del gioco. Svetlana è una giocatrice universale, a tutto campo. Sa essere aggressiva, ma sa anche difendere molto bene. Noi lavoriamo un po’ ovunque. Sveta sa fare tutto e noi impostiamo gli allenamenti in modo da non trascurare nulla. Uno degli aspetti che preferisco nell’allenare Svetlana è che la sua completezza fa sì che vi siano moltissimi aspetti da curare, da cercare di migliorare. Lei stessa spesso mi chiede di lavorare su alcuni aspetti che magari le avevano creato alcune insicurezze in partita».

Ed a proposito di come affrontare le sconfitte… «C’è sempre un motivo riconducibile alle sconfitte. Per questo, quando perde, parliamo per cercare di capire cosa è stato sbagliato. Normalmente è un problema mentale che si ripercuote sul gioco.  Svetlana è una giocatrice che quando le cose si mettono male tenta di cambiare, sa fare un po’ tutto, ma a volte non riesce a fare ciò che vorrebbe. E la ragione di questi blocchi, sono sempre interni. Per questo poi parliamo, cerchiamo la soluzione. Spesso è tutto molto facile».

Se si abbandona per un attimo “l’argomento Svetlana” è possibile scoprire come gli idoli d’infanzia di Carlos siano stati Emilio Sanchez e Mats Wilander. Dello svedese poi era solito comperare pure i completi da tennis, tanto gli piaceva, «perché aveva un gioco consistente e in campo era un vero signore. Ammiravo l’educazione di Wilander così come ora apprezzo moltissimo il modo di stare in campo di Svetlana». Valori che cerca di inculcare in chiunque frequenti la sua Accademia in quanto sostiene che: «La base per costruire buoni giocatori si posa su un primo fattore fondamentale: prendersi cura della formazione della persona in sé…»

Carlos confida che anche le sue bimbe si sono avvicinate al tennis… «Entrambe frequentano un corso di danza classica e la scuola tennis… La mia bimba più grande, Lisa, che ha 7 anni, gioca due giorni a settimana per divertirsi e quest’anno ha iniziato pure la piccolina, di tre. Io le vado a vedere, ma in campo con loro va un altro allenatore. La cosa più importante per me e mia moglie è che crescano in un’ambiente sano, in un’atmosfera positiva… Poi, se u giorno volessero tentare la carriera professionistica io ci sarò per sempre aiutarle, ma ora sono troppo piccole per pensare a questo, per adesso Lisa guarda tutte le partite di Svetlana! ».

Carlos Martinez è uno dei pochi allenatori che può vantare il riconoscimento di Golden Coach, un titolo che la WTA assegna agli allenatori che seguono da un tot di anni giocatrici di alto livello. Una professione che Carlos oltre ad amare con tutto sé stesso riconosce che «mi ha dato la possibilità di conoscere tante persone, di confrontarmi con culture differenti, è ovvio che a livello personale ti arricchisci». Allo stesso tempo, la vita sul circuito ha pure qualche “contro” come: «Il poco tempo disponibile da passare insieme alla mia famiglia… E un po’ di solitudine».

In seguito al dolore al polso sinistro avvertito durante l’US Open, Svetlana Kuznetsova ha effettuato diversi accertamenti diagnostici finché, a inizio novembre, si è rivelato indispensabile sottoporsi a un intervento chirurgico il quale le comprometterà la sua partecipazione all’Australian Open 2018. Carlos ha comunque chiari in mente una serie di obiettivi: «Il primo è recuperare al meglio. Poi tornare in top ten e vincere un grande torneo… Sì, io credo che vincere un Grande Slam sia nelle possibilità di Sveta». E se dovesse scegliere una tra le quattro Grandi Prove? «Svetlana ha già vinto l’US Open e il Roland Garros, direi Wimbledon…».

A rendere così speciale il sodalizio tra Carlos Martinez e Svetlana Kuznetsova è la fiducia, la stima reciproca, ma pure l’amicizia che li lega. Ingredienti preziosi che, amalgamati allo spessore professionale e umano che contraddistingue entrambi, rende qualsiasi traguardo alla portata. Perché se Carlos è un coach da sogno, Svetlana è una certezza.

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