La Pulce: coaching o non coaching, questo è il problema

Il caso della settimana prende il via da queste parole “Ci sono momenti in cui guarda in alto, in cui ha bisogno di certezze, di sapere che quello che sta facendo è giusto. Noi abbiamo i nostri gesti per dirgli se va bene o non va bene. Poi sta a lui cambiare le cose”, a pronunciarle tanto per cambiare è Boris Becker, l’ex tennista che da quando si è dato alla scrittura (la sua biografia è in uscita) è diventato più loquace che mai.

Becker

Becker, attuale coach del numero uno del mondo Novak Djokovic, ha dunque ammesso di ricorrere spesso e volentieri all’utilizzo del coaching. I più attenti di voi sapranno che dal lontano 2008 la WTA ha ammesso l’uso del coaching in campo per tutti i suoi tornei (ovviamente gli Slam, non essendo sotto la supervisione della WTA fanno eccezione),l’Atp dal canto suo si è rifiutata di adottarli, ribadendo prontamente che: “Comunicazioni di ogni tipo, udibili o visibili, tra un giocatore e il proprio coach possono essere imputate di coaching. La penalità può iniziare con un warning fino alla perdita di un punto, poi un game e in casi estremo alla perdita della partita”.
Questo dunque, è ciò che la regola dice, ma noi tutti sappiamo che la realtà è ben altra e che ciò che Becker ha fatto è la scoperta dell’acqua calda.

Sono infatti anni che vediamo Rafa Nadal comunicare con suo zio Tony durante le pause di gioco (a Wimbledon nel 2010 fu anche multato per questo), stesso discorso vale per Jelena Jankovic e Maria Sharapova, per Andy Murray e Ana Ivanovic e così facendo potremo andare avanti per ore, perché vi assicuriamo che il numero dei tennisti che ne fa uso è realmente numerosissimo.

Secondo il maiorchino quella del coaching è una regola obsoleta “Essendo una regola, tutti i tennisti la devono rispettare, però è veramente antica. Era logica qualche anno fa, quando molti giocatori non avevano un allenatore. Ma ad oggi non vedo tennisti che non abbiano un coach. è assurdo pagare un allenatore durante l’anno che nel momento più importante non può aiutarti”. 

A questo punto, dunque, a costo di sembrare antichi, vi diremo la nostra: ciò che rende unico e speciale il tennis rispetto a mille altri sport è la capacità di saper leggere il gioco, il tennis non è solo uno sport fisico ma anche e soprattutto mentale. Avvicinandosi a questo sport bisogna mettersi in testa che in campo si è infinitamente soli, ed è lì, che difficoltà dopo difficoltà, dobbiamo dimostrare realmente quanto valiamo, da soli, senza tutor ne suggeritori esterni. Questo discorso vale tanto per il dilettante quanto per il campione, perché, e di questo ne siamo più che certi, il campione vero non ha bisogno di aiuti, lui il gioco e l’avversario li sa leggere da solo.

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