Ashleigh Barty: finalmente una campionessa non convenzionale vince uno slam

Sono state due settimane fantastiche quelle vissute da Ashleigh Barty a Parigi, autrice di una cavalcata memorabile che le ha regalato la vittoria più bella di una carriera appena agli albori. Non è altissima, non è una modella e nemmeno una filo-social, ma è una giocatrice che con la racchetta può fare qualsiasi cosa, anche vincere sulla superficie a lei meno congeniale, dispensando tennis come (forse) non accadeva dai tempi di Francesca Schiavone.

Quando un’atleta è predestinata, il tempo, presto o tardi, le dà ragione e ieri sul Philippe Chatrier Ashleigh Barty ha coronato il sogno che tutte le giocatrici di tennis, un giorno, sperano di realizzare: vincere un trofeo dello slam e l’australiana ha ottenuto questo risultato sulla superficie a lei meno congeniale, quella dove il famoso e pressoché estinto gioco a tutto campo riesce meno ed è foriero di grosse delusioni, a livello di prestazioni sulla terra rossa. Ne sa qualcosa Roger Federer per esempio, la cui caparbietà lo ha ripagato nel 2009 ma dopo un calvario di tre finali perse, o giocatori come Grigor Dimitrov e la meravigliosa Agniezska Radwanska che, al Roland Garros, hanno sempre racimolato molto poco. Era dai tempi di Francesca Schiavone, AD 2010, che una giocatrice a tutto campo non vinceva un titolo così prestigioso, come quello di Parigi. Dopo quel famoso 5 giugno, giorno in cui l’azzurra aveva disputato una partita straordinaria contro Samantha Stosur, solo picchiatrici da fondo come Na Li, Sharapova, Williams, Muguruza e Ostapenko hanno portato a compimento l’impresa, ad esclusione di Simona Halep, che però appartiene alla categoria delle difensiviste ad oltranza. E anche negli altri slam non è andata diversamente. Gli Australian Open hanno quasi sempre favorito il gioco offensivo da fondo campo (Wozniacki piccola eccezione), Wimbledon ugualmente tranne la parentesi impersonata da Angelique Kerber, e stessa sorte è toccata agli US Open dove solo Flavia Pennetta e Sloane Stephens hanno dato una rispolverata ad un gioco un po’ più completo, prevalentemente regolarista, ma capace di dar vita a delle belle giocate di fino se necessario. Il trionfo di Ashleigh Barty mette d’accordo pressoché tutti, addetti e non. La tennista di Ipswich, che alcuni anni fa aveva tradito il tennis per dedicarsi al cricket, ha interpretato un torneo magistrale, mettendo sul campo ogni singola goccia di talento posseduta. Buon servizio, dritto arrotato al punto giusto, colpi tagliati sia di dritto che di rovescio, palle corte,  pallonetti, svariate prestazioni a rete e un rovescio difensivo bimane che, pur essendo il colpo più debole del suo fulgido repertorio, le consente di difendersi in modo ottimale dai comodini provenienti dall’altra parte del campo. Questa vittoria inaspettata, e impronosticabile a inizio torneo, non arriva per caso, non è un fulmine a ciel sereno come la volta di Jelena Ostapenko, ma è una consacrazione che parte da lontano. Prima di tutto dalla grande esperienza maturata in doppio accanto alla connazionale Casey Dellacqua, che le ha permesso di affinare la confidenza con la troppo, dai più, odiata rete, e dagli ottimi risultati ingranati torneo dopo torneo. In primis la finale a Sydney persa da Petra Kvitova, ma vendicata con i quarti di finale al Miami Open che poi l’avrebbero vista trionfare su Karolina Pliskova, a seguire i quarti di finale agli Australian Open, il titolo in doppio a Roma vinto accanto a Vika Azarenka, i quarti di finale a Madrid dove ha perso da una Simona Halep perfetta, insomma… I progressi erano in atto e non potevano non sbocciare presto o tardi. Questi French Open non sono stati certamente una passeggiata per lei, che ha dovuto battere in sequenza Danielle Collins, Andrea Petkovic, Sofia Kenin, Madison Keys, Amanda Anisimova, in un match thriller nel quale stava rischiando l’eliminazione dopo aver dominato in lungo e in largo, e infine Marketa Vondrousova, ancora troppo giovane, acerba, emotiva e non abituata al pubblico delle grandi occasioni. Ma la finale di ieri non è stata solo la vittoria contro una giocatrice ancora troppo inesperta (ribadiamo ancora perché anche la ceca è una predestinata), ma l’apoteosi di un torneo e di una partita perfetta, dove una giocatrice non convenzionale, che non picchia come un’ossessa, ma riflette, usa il colpo in quel momento più adatto alla situazione, allunga, accorcia, arrota, spinge, copre gli angoli e li pulisce, ha ridato una speranza al mondo della WTA e ha messo in chiaro che per vincere e convincere non è indispensabile essere per forza altissima, bellissima, fighissima e interattivissima, ma è più importante essere preparate, padrone della racchetta, del campo, della situazione e soprattutto mostrarsi umili e capaci di risollevarsi dalle situazioni difficili senza perdersi in inutili isterie. Asleigh Barty ha vinto sotto ogni fronte e il mondo ne è consapevole. E’ stata sommersa di messaggi, di complimenti e di congratulazioni provenienti da ogni dove. Alcuni giorni fa era stata eletta da Gabriela Sabatini come una delle giocatrici più complete del circuito, un’atleta vintage come non se ne vedeva da tempo. Ha solo 23 anni ma possiede una mentalità da veterana, è alta un metro e 66 centimetri ma corre talmente bene da essere meno scavalcabile di un muraglione respingi-tutto, ha un rovescio bimane che usa solo per difendersi ma che sforna vincenti perché sa come fintarlo. Ashleigh Barty è la nuova campionessa del Roland Garros e la sua carriera, appena gli albori, sta solo iniziando, perché con quel carattere che pensa prevalentemente ad onorare il campo, con quel tennis talmente bello da sembrare irreale, con quella compostezza tipica di chi bada al sodo non può finire qui.

A. Barty abbraccia la coppa Suzanne Lenglen durante la premiazione.
A. Barty abbraccia la coppa Suzanne Lenglen durante la premiazione.

E’ stato detto tante volte, dopo gli exploit delle giovincelle venute da un paese lontano, che era nata una stella, che il tennis aveva trovato una nuova leva che avrebbe minato la supremazia di Serena Williams. Non potrà far questo Barty perché il tempo è tiranno e 23 anni non sono come 20. I record di Serena resteranno ancora lì per lungo tempo, presumibilmente immutati e inarrivabili per molte. Ma siamo certi che con lei qualsiasi vittoria avrà un sapore diverso, particolare e soprattutto meritato. Non sarà frutto del caso, della fortuna, del girone facile o di un’avversaria che si è fatta impallinare. Emanerà semplicemente il sapore etereo che solo un enorme talento può far sbocciare e provocherà una piacevole sensazione negli occhi di chi la guarderà giocare.

0 comments
  1. Successo inaspettato non tanto per le capacità, ma quanto per l’attitudine a tale superficie. Partita potenzialmente bella, ma “rovinata” dal braccio tremebondo della Vondrousova, la quale avrà tempo per rifarsi

    1. Giuliana quest’anno già uno Slam e un Premier Mandatory. Mi ricordo lo scorso anno come riuscì ad arginare in Australia una delle migliori Giorgi mai viste

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