1999, quando Federer fu sul punto di ritirarsi

Sappiamo oramai tutti del temperamento indomito che caratterizzava il giovane Federer, ma nessuno immaginava che le difficoltà caratteriali potessero aver spinto Roger a pensare addirittura al ritiro, prima ancora che la sua brillante carriera avesse inizio.

Chiudete gli occhi, e immaginate per un attimo un mondo del tennis senza Federer. Sarebbe indubbiamente un incubo, incubo destinato fra l’altro prima o poi ad avverarsi, quando lo svizzero deciderà di averne abbastanza e di voler appendere la racchetta al chiodo. Nessuno potrebbe però immaginare l’ultimo ventennio della storia del nostro amato sport senza gli straordinari successi dello svizzero. Eppure nell’oramai lontano 1999 Roger avrebbe potuto ritirarsi, privano milioni di fan in tutto il mondo di uno dei più grandi spettacoli andati in scena sui campi da tennis.

Molto è stato scritto sulle difficoltà caratteriali che hanno accompagnato lo svizzero nella sua adolescenza e nei primi anni di carriera nel circuito ATP, difficoltà che si traducevano in intemperanze che limitavano le potenzialità di un giocatore altrimenti capace di tutto, come ci ha più volte dimostrato. Solo in questi termini si spiega pertanto la relativamente “lenta” (da considerarsi tale solo se paragonata a quelle fulminee dei Nadal e Djokovic) ascesa del campionissimo svizzero, che nei primi anni nel circuito incontrò non pochi problemi ad affermarsi e a dar prova dell’incredibile talento che gli avrebbe poi permesso di divenire probabilmente il migliore di tutti i tempi; fra 1998 e 1999 Roger si trovò difatti in una sorta di fase stagnante, che lo vedeva vagare intorno alla trecentesima posizione del ranking mondiale, senza riuscire a fare quel saltò di qualità che gli avrebbe permesso di fare il suo ingresso nel mondo dei grandi.  Tra la fine del ’98 e i primi mesi del ’99 Roger riuscì ad assestarsi in prossimità delle prime cento posizioni della classifica, ma fu proprio in quel frangente che si concretizzò quella che lo stesso svizzero ha definito come una crisi esistenziale: “Ho avuto due fasi molto negative. La prima fu a 14 anni quando mi sono trasferito a Losanna per la scuola.  Piansi molto, dover stare lontano da tutto ciò che mi era caro, dover essere sempre in viaggio, con tutte le responsabilità che ne derivavano, mi angosciava molto” ha affermato lo svizzero ai microfoni di Tennisactu , per poi aggiungere “La seconda è stata nel 1999. Ero bloccato introno alla 120esima posizione del ranking mondiale, e sentivo di non essere semplicemente abbastanza forte per poter compiere il salto verso i primi 100. E’ stato veramente difficile trovarmi senza le armi per poter progredire oltre“.
Leggere queste dichiarazioni alla luce dei successi ottenuti ad oggi dallo svizzero fa quasi sorridere, ma è innegabile che in quel 1999 il campione di Basilea abbia incontrato non poche difficoltà, imbattendosi in una striscia negativa che terminò solo nel torneo di casa, dove vinse due partite prima di arrendersi a Tim Henman; lo svizzero avrebbe poi concluso quell’anno al numero 64 del ranking, dopo la semifinale a Vienna e la vittoria sul finale di stagione Challenger di Brest, dove sconfisse Max Mirnyi in finale, dopo una stagione di alti e bassi.

Federer ha commentato così le emozioni che visse durante quella stagione: “Ci sono sempre momenti nella carriera di un giocatore in cui ci si sente mentalmente forte, e tutto può finire. Si è costretti a fare molti sacrifici da giovani per diventare tennisti, ci sono molti viaggi, molti doveri, e siamo passati tutti da quei giorni in cui decidi di attaccare la racchetta al chiodo e di lasciar perdere, ma il giorno dopo ero disposto a lavorare sodo e a cambiare le cose per potermi esibire al più alto livello. I risultati non sono stati immediati, ma ogni vittoria è valsa lo sforzo profuso“.
Roger ha quindi seriamente pensato al ritiro in quel lontano 1999, ma la forza di volontà che da sempre lo contraddistingue, mista all’innata mentalità vincente e alla non scontata umiltà di cui ha più volte dato prova, gli hanno permesso di andare avanti e divenire quello che è ora.

 

 

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