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Il caso Sharapova: la prova che nessun atleta russo è al sicuro

Di Samantha Casella

Politica. Nient’altro che politica. Conferenza stampa compresa, con Maria Sharapova costretta ad ammettere la sua colpevolezza, obbligata a scusarsi con il mondo intero, a rimproverarsi di non aver letto una lettera che le faceva notare come il “Meldonium” fosse stato inserito nella lista dei prodotti bannati. Un farmaco che, a quanto pare, veniva somministrato alla ventottenne russa da circa dieci anni. Lei avrebbe dovuto leggere la letterina, non l’equipe medica del suo “americanissimo” e pagatissimo staff? Per piacere. Politica.

Solo politica. Lei, una russa che contrariamente a quanto il suo management abbia voluto inculcare nella mente della gente, “americana non lo è mai stata”, perché non ha accettato di diventarlo, rimanendo “una russa che è arrivata negli Stati Uniti per fare soldi”. Ha fatto quello che doveva fare, Maria Sharapova, per la sua immagine, per il suo futuro. Lo disse anche, nel 2008, quando la spalla fece di tutto per spezzarla, quando non si sapeva se nemmeno sarebbe mai tornata in campo, disse: “Ditemi cosa devo fare. Farò qualsiasi cosa perché la mia immagine sia salvaguardata nel caso non avessi più una carriera”. Maria. Nome comune eppure portatore di misteri, di segreti e leggende. Lei, Maria Sharapova, indecifrabile lo è sempre stata ed alla fine anche lei ha dovuto accompagnare un figlio alla croce: il suo personaggio, quella maschera che ha accettato di non posare mai, che è forse diventata una seconda pelle sopra a quel viso a guardar bene venato da una inconsolabile tristezza.

Anche la politica è triste, sempre. Quando di mezzo ci sono gli Stati Uniti lo diventa ancor di più. La WADA, per quanto internazionale altro non riflette che l’ipocrita “sogno americano” di rendere pulito lo sport, di stanare e punire i colpevoli, in base al bisogno. Sono riusciti ad affondare Armstrong perché in America le biciclette vendute iniziavano ad essere un pò troppe, hanno concentrato le loro forze nel promuovere una “campagna anti Russia” quando l’ex Unione Sovietica è diventato un Paese che non era più possibile comprare con una bottiglia di vodka.

Il mostro aveva depositato le proprie uova da tempo, nel sottosuolo, ma alla luce del sole tutto è iniziato nel novembre 2015 quando vennero rese pubbliche le indagini su campionesse, su portabanidera, quali Mariya Savinova, Ekaterina Poistogova, Liliya Shobukhova, Anastasiya Bazdyreva, solo per citare le più note. Due ore prima dell’annuncio di Maria Sharapova, ecco servita la news che pure Ekaterina Bobrova, sarebbe stata trovata positiva ad un controllo antidoping effettuato nel corso dei Campionati Europei di Bratislava.

Politica. Nient’altro che politica. E parte dagli Stati Uniti, fermamente intenzionati a “sospendere con effetto immediato gli atleti russi in occasione delle Olimpiadi di Rio”. Quanto prudono i pollici ai mollicci ragionieri della WADA in previsione delle Olimpiadi in un paese che fa parte del BRIC, guarda caso un’alleanza economica che comprende Brasile, Russia, India e Cina. Un Paese vasto, vastissimo, ricchissimo e poverissimo, ma ugualmente unito nel trovare entusiasmo o conforto nello sport, come tutti i paesi sudamericani. Un Paese di sinistra, quella potenzialmente vera, non quella statunitense che oltre ad essere altrettanto guerrafondaia dei rivali repubblicani, sulla torta ha le credenziali per adagiarvi la ciliegina della falsità. E i comunisti veri o presunti, ed ora come ora ancor più gli ex comunisti, agli americani hanno sempre suscitato paura e disprezzo. Accadde anche a Diago Armando Maradona, durante i Mondiali di calcio del 1994. Lui amico di Fidel, quando era ancora Castro; non quello di adesso, dove il logorio dovuto in parte dall’età, ma non solo, lo ha pacificato con il “demone” che sempre li ha vessati. Politica. Meno risuonerà l’inno russo alle Olimpiadi meglio sarà. Meno bandiere russe saranno alzate durante un qualsivoglioa podio meglio sarà.

Eppure non c’è limite alla perspicacia politica, alla fermezza di principi su cui si basano questi cacciatori di streghe a stelle e strisce. “Catturando” Maria Sharapova sono andati oltre? No. Come spesso accade i virus più maligni si insinuano in terreni vergini, estremamente fertili, in organismi “sani”, apparentemente impossibili da colpire, e questo perché indotti; così come avvenne per l’ebola, o la Zika, e siamo ancora nelle orbite delle coincidenze dato che ha proliferato in Brasile. Il caso Sharapova, derivato di una conferenza annunciata all’ultimo momento. Nessuno ha pensato al doping non perché era impensabile, no, perché a voler essere razionali, era troppo semplice.

Perché da mesi la Russia è perseguitata e Maria Sharapova non è semplicemente russa, Maria Sharapova è un simbolo, è la donna che con 5 Slam si mangia come immagine quelle che ne hanno vinti più di 20. Perché Maria Sharapova è il tennis ed è una russa. Perché la Russia fa paura; e ne farà sempre di più. Per questo nessun atleta russo è al sicuro. Per questo WADA e politica sono unite in un incestuoso amplesso. Per questo io sono dalla parte di Maria Sharapova, lo sarò sempre, con e senza doping. Per questo io amo la Russia con tutto il suo fascino e le sue storture, con le sue contraddizioni, con le sue leggi retrograde, con il suo interventismo sfacciato, con le sue ombre cariche di misticismo che a me trasmettono quel qualcosa che difficilmente trovo nel quotidiano: la pace.

Redazione Tennis Circus

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