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Perché Nick Kyrgios è il bad boy di cui il tennis ha bisogno

Svogliato, ribelle, irriverente, incosciente, impulsivo, irrazionale e la lista potrebbe andare ancora avanti. Tutto questo è Nick Kyrgios, temerario youngster dello sport con la racchetta che si è fatto spazio a gomitate fra i top player sfondando con prepotenza il tetto della Top 20 all’età di soli 21 anni. Ma non è stato sempre così il nuovo bad boy del circuito: prima di trasformarsi in un distruttivo tornado che si abbatte su tutto ciò che l’ostacola – amicizie incluse (Kokkinakis ne sa qualcosa) – l’australiano si era presentato al mondo del tennis come una ventata d’aria fresca, la speranza di cui tutti avevamo bisogno, e lo è ancora in fondo.

In tanti, per evidenti ragioni che non starò ulteriormente a sottolineare, hanno affermato di non provare particolare entusiasmo nel vedere il nativo di Canberra in azione; pensate che c’è addirittura chi lo ha soprannominato: “Tamarreide”, un Nick-name che pone l’accento sul suo look tanto appariscente quanto esplicativo del personaggio. Eppure c’è qualcosa nel giovane aussie che riesce a catturare gli sguardi di milioni di persone (inclusi coloro che sostengono con fermezza di detestarlo) costringendole davanti ad uno schermo per ore, succubi delle sfuriate e del gioco tutto “bum-bum” del classe ’95.

C’È UN LIMITE ALLA SPAVALDERIA — Ebbene sì, per quanto immagino non vi piaccia leggerlo, c’è qualcosa di magnetico in lui. Impossibile stabilire cosa nello specifico ma è semplicemente così. Inoltre, credo sia alquanto superficiale appoggiarsi ad una visione unilaterale del giocatore con il solo fine di propinargli un’etichetta che a stargli stretta è dir poco. Perché, per quanto Kyrgios ami atteggiarsi a bad boy dentro e fuori dal campo, sotto quella cresta lì si celano talmente tante cose che sarebbe impossibile contenerle. In breve: per tipi come lui, il vaso di Pandora non basterebbe. Il carisma è sicuramente una delle componenti principali che ha contribuito alla diffusione del “fenomeno Kyrgios”, ma se a questo addizioniamo una buona dose di irruenza ed un pizzico di strafottenza allora c’è davvero da preoccuparsi perché spavaldo fa figo ma fino ad un certo punto, e Nick ha pagato care le conseguenze delle sue azioni. Di fatto, non è passato inosservato il suo comportamento durante il match di secondo turno del Masters 1000 di Shanghai, perso appositamente in 49’ contro il tedesco Mischa Zverev. Un atteggiamento ingiustificabile che è stato pesantemente sanzionato dall’ATP con 8 settimane di sospensione dall’attività (pena ridotta a 3 poiché ha accettato di essere seguito da uno psicologo sportivo).

IN DIFESA DI KYRGIOS — Bisogna però dire che l’australiano non è la prima e non sarà sicuramente l’ultima testa calda a mettere piede nel Tour. Di piccole pesti dalle inquantificabili doti e potenzialità il tennis ne ha viste a bizzeffe: alcuni di voi faranno fatica a crederci (specialmente i più giovani in quanto non ne avranno memoria) ma all’inizio della sua carriera, persino “Mister 18 Slam” Roger Federer era uno difficile da tenere a bada. C’è poi chi sulle sceneggiate in campo ci ha costruito una carriera intera come John McEnroe, e chi invece si è riservato la sbottata più grande di tutte per il post-ritiro come Andre Agassi, che nella sua autobiografia “Open” ha ammesso di odiare profondamente il tennis. Affermazione accolta e rielaborata dallo stesso Kyrgios, il quale durante una delle sue famigerate conferenze stampa post-sconfitta ha dichiarato di adorare soltanto una cosa di questo sport: il guadagno, il gusto dei soldi; lo stesso decantato dal noto lottatore di arti marziali miste Conor McGregor che ad ogni “shopping spree” spende 27.000 $, meno la passione per il proprio lavoro (l’irlandese ha un amore viscerale per l’ottagono).

GENIO E SREGOLATEZZA — Parliamo quindi di un “odi et amo” tra Kyrgios e il tennis, entrambi intrappolati in una relazione che somiglia ad un vicolo cieco, dove l’uno dipende dall’altro perché non c’è Kyrgios senza tennis e non c’è tennis senza Kyrgios. Che lo si ami o lo si odi, bisogna ammettere che il ventunenne è un personaggio che fa “audience” e mai come in questo momento, con l’era di “Fab Four” quasi giunta al termine (per quanto sia triste dirlo), il circuito ATP ha bisogno di qualcosa di diverso, di una scossa. Positiva o negativa non importa, perché nei prossimi anni saranno i talenti del tennis 3.0 ad ereditare inevitabilmente i posti di Roger Federer, Rafael Nadal, Novak Djokovic ed Andy Murray. Forse adesso Kyrgios è un personaggio più adatto a dominare prime pagine e classifiche di gradimento più che ranking mondiali, ma non è detto che nel futuro non possa diventare un degno sostituto dei fenomeni da tutto esaurito appena elencati. D’altro canto anche lui ha dimostrato di essere materiale da box office e, per quanto possiamo storcere il naso all’idea di vederlo varcare la soglia di un Centrale, ogni volta che si presenta l’occasione moriamo dalla voglia di seguirlo. Insomma, alla fine siamo soltanto dei fan mascherati da haters, in realtà Nick ci piace, e pure tanto. Ci piace perché rema contro corrente ed è l’antitesi ideale che si oppone a quell’orda di personalità fatte con lo stampino, moderate e perbeniste che pur di non subire il trattamento dell’etichetta decidono di mordersi la lingua e contare fino a dieci prima di mettersi in discussione. E se senza antitesi non c’è tesi e viceversa, lo stesso vale per l’apollineo e il dionisiaco perché, d’altronde, non vale la pena raccontare una storia se questa è priva di un antagonista.

Arianna Nardi

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Arianna Nardi
Tags: nick kyrgios

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