Alexander Zverev 2: Il binomio Toronto-Cincinnati, per il predestinato pargolo, è stato disastroso. Se però, in terra canadese, la sconfitta con Tsitsipas poteva ammettere valide giustificazioni, quella patita all’esordio contro Robin Haase non trova accettabili scuse. Nervoso, falloso a dismisura, incapace, per attitudine estremamente sbagliata, di cambiare piano di gioco una volta accortosi delle difficoltà messe in mostra sul rettangolo di gioco. Si presenta agli Us Open, torneo nel quale non ha mai superato il secondo turno, con un carico di sensazioni negative sulle spalle, soffocato da una testa di serie che ne frena i movimenti.
Andy Murray 4: Il baronetto scozzese è ancora lontanissimo da una condizione che possa essere definita accettabile. Murray riesce nell’impresa probante di perdere persino dal derelitto Pouille, cigno candido ormai capace soltanto, divenendo quasi caricaturale emulazione del compagno Gasquet, di inanellare serie incessanti di sconfitte consecutive. Sarà, per Andy, un lungo percorso di riabilitazione. Questo è soltanto l’inizio.
Stan Wawrinka 8: È assoluta libidine risentire sulla pelle la feroce sbracciata attraverso la quale lo svizzero impatta il rovescio lungolinea, che esplode in uno schiocco fragoroso producendo vincenti da catarsi immediata. Raggiunge i quarti di finale superando in due set, tra gli altri, Kei Nishikori, dando poi vita, opposto a Federer, alla sfida migliore del torneo. È lapalissiano ormai il fatto che, Wawrinka, soffra mentalmente il collega elvetico più di qualsiasi giocatori presente sul circuito ed era quindi ovvio, alla vigilia, immaginarsi una sua combattuta, ma logica sconfitta. Così di fatti avviene, ma per il livello messo in mostra, se dall’altra parte della rete non fosse mai figurata la bandiera rossocrociata, un risultato ancor migliore sarebbe senza dubbio arrivato.
Milos Raonic 6: Il canadese spreca un’occasione che incide pesantemente sulla valutazione complessiva del torneo. Opposto a Djokovic, ai quarti di finale, si trova in vantaggio di un break nel parziale decisivo, dopo essere stato avanti di un set ad inizio partita ed aver saputo rispondere con personalità al ritorno prorompente del serbo. Una volta conquistato il fondamentale vantaggio, che per un simile battitore è sinonimo di vittoria, si scioglie d’improvviso, palesando una solidità mentale da incontro femminile. Dopo il controbreak di Nole totale oblio e nessun game più portato a casa. Aveva tra le mani la possibilità di regalarsi un risultato prestigioso. La brucia sotto i potenti colpi di inizio gioco venuti ad essere, per timore reverenziale, un velenosissimo boomerang.
David Goffin 8: È un peccato che il belga, così gradevole alla vista, sia stato costretto al ritiro. Dopo un’annata difficile, l’efebico geometra torna per qualche giorno a disegnare tennis, utilizzando quell’appoggio sulla palla avversaria che tanto lo rende caratteristico. La vittoria su Del Potro, pur stanco dopo l’estenuante partita con Kyrgios, è notevole e da rimarcare, ed un primo set giocato alla pari in semifinale con Federer ne dimostra nuovamente le sue indubbie qualità. Un piacevole ritorno, solo molto sfortunato.
Marin Cilic 7: Solito percorso netto del croato, che in appuntamenti di questo genere, negli ultimi due anni, ha sempre raggiunto le fasi finali grazie a prestazioni dittatoriali. Poi, da prassi, dimostra con Djokovic il cuor di leone di cui è dotato, perdendo la partita a causa di un game sciagurato con il quale, grazie ad una serie di errori consecutivi, consegna nelle mani del serbo buona parte della vittoria. Su questi campi possiede un tennis potenzialmente letale, ma è troppa la paura, l’incapacità di gestire accuratamente l’ansia da prestazione, per poter pensare, contro i grandi, di replicare i risultati ottenuti in occasione degli Us Open 2014.
Roger Federer 8: Il torneo dell’elvetico non spicca per particolare brillantezza ed un tabellone benevolo gli rifila soltanto, prima della finale, un altro match di alto livello, con Stan Wawrinka. Nel primo torneo giocato dopo la cocente delusione di Wimbledon è chiaro come, attualmente, Roger stia vivendo un periodo di lieve ma costante flessione in termini di qualità di gioco, variazione che, in sfide dal risultato incerto come quella contro Djokovic, si fa sentire. Numerose risposte terminate sul nastro, errori banali che ne frenano l’entusiasmo, una seconda palla con la quale ottiene un misero 47% di punti (contro il 78% del serbo). Inizierà gli Us Open da testa di serie numero 2, e tutti sappiamo come, in quanto Federer, abbia sempre possibilità di vittoria, ma ad oggi, un ipotetico successo in terra americana che manca da 10 anni, appare difficile da ipotizzare.
Novak Djokovic 9.5: Il serbo supera, tra tutti, il tabellone più complicato, uscendo da situazioni rischiose con esperienza ed una buona dose di fortuna. La partita con Raonic, regalata dal canadese riscopertosi incapace di prendersi con coraggio una vittoria meritata, gli concede lo slancio necessario per la conquista dell’ultimo master mancante dalla bacheca. Djokovic è il primo, nella storia, a conquistare tutti i 1000 presenti in calendario e pur non lasciando dietro sè l’alone di imbattibilità portato in dote nel biennio 2015-2016, appare ora, in virtù degli ultimi successi, il vero favorito per la conquista dei più grandi titoli in programma da qui alla fine dell’anno.