A Macerata il 30 dicembre 1991 c’erano quattro gradi. Faceva freddo e tirava un po’ di vento, ma con un cappello, una sciarpa e un po’ di buona volontà si poteva uscire per fare un giro nel centro storico della città. Nella Pinacoteca Comunale era esposta la mostra di Magdalo Mussio, che sarebbe stata smantellata proprio la sera stessa. Probabilmente il nome dell’artista in questione non vi dice granchè, ma è bene che sappiate che costui fu uno dei più grandi esponenti della poesia visiva della seconda metà del secolo scorso. O forse se siete marchigiani lo conoscete perchè fu anche docente dell’Accademia di Belle Arti maceratese e ne ricordate vagamente il nome (che non si dimentica facilmente). Magdalo fu capace di creare una cultura che interpretasse un codice visivo alternativo, diverso da quello canonico, volto a coinvolgere immagine, forza ed emozioni in un collage poetico. Così facendo si ritagliò un posto d’onore nella sua corrente artistico-letteraria, tanto che gli appassionati e gli esperti lo ricordano ancora oggi come uno di quelli che cambiarono quella parte di storia dell’arte.
Quel giorno, a Macerata, non fu solo l’ultimo della mostra di Mussio. Perchè il 30 dicembre, nell’ospedale della città, nacque Camila Giorgi. Non mi è dato sapere se anche Claudia e Sergio andarono a visitare quella mostra, che – si legge dalle cronache del tempo – ebbe un discreto successo. Quello che so, invece, è che anche Camila è stata capace di prendersi e di cambiare la sua parte di storia come quell’uomo che Petrarca definirebbe “vecchierel canuto et biancho” (allego foto di seguito). Una storia che poi non è così distante da quella di Mussio, perchè quando la Giorgi scende in campo non può essere capita da tutti. Per i pochi abili ad osservare davvero, lei è capace di creare un collage di elementi lineari e piatti come i suoi colpi, ma in fondo estremamente complicati e ragionati, e solo apparentemente privi di sentimento. Se una partita di Camila fosse un dipinto avrebbe dei centri di colore intenso ma sfumato come le sue emozioni, troppo spesso represse e quindi poco comprensibili, ma collegabili da un fil rouge volteggiante tra la forza e la velocità di pensiero. Le fugaci occhiate al papà in tribuna sarebbero un capolavoro di compostezza, di timidezza.
Per Camila Giorgi la partita di tennis è l’unico momento in cui può esteriorizzare la propria interiorità, pur restando su alcuni binari che lei stessa si è pre-costruita nella coscienza e nel cervello. Le “sbavature” non volute, in questo senso, sono davvero poche. Ciò vuol dire, comunque, che quando parla dice di meno di sé di quando si trova con una racchetta in mano sul rettangolo da gioco. Avete mai ascoltato una sua intervista? Le parole, spesso evidentemente costrette, sono solo il contorno. Quei vocaboli potrebbero essere pronunciati anche da uno che di tennis non ci capisce nulla. Per capire devi guardarle il volto, l’espressione, gli occhi. Nessuno è in grado di comprendere a fondo quello che lei pensa o prova, forse nemmeno lei stessa: qualsiasi tentativo di comprensione resterebbe approssimativo, incompleto, non oggettivo. Il mistero di fondo dalla quale è avvolta fa sì che sia una delle ragazze più affascinanti del mondo del tennis.
Oggi compie 27 anni. Auguro a Camila di continuare nella creazione di un codice alternativo per giocare a tennis, che per molti superficiali è riducibile a “tira a caso”, e quindi di continuare a non essere capita totalmente. Tra gli altri, Magdalo Mussio ne sarebbe fiero.