Essere Michael Llodra

A ogni turno di servizio la storia si ripete: prima o seconda mancina, senza alcuna differenza, movimento in avanti ed eccolo pronto a giocar la volée. Di dritto, di rovescio, smorzata. Mal che vada c’è la demi-volèe o nel migliore dei casi lo smash. Aperture brevi, rovescio classico. Il tutto sempre giocato con gran classe ed eleganza.

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Questo è stato per tanto tempo il biglietto da visita di Michael Llodra, mosca bianca del circuito. Ultimo esponente del vero gioco serve&volley. Certo,  ancora oggi vari tennisti utilizzano spesso questo schema , ma non con la costanza e l’abilità con cui lo faceva Michael. Cresciuto con il mito di Stefan Edberg, Mika voleva emularne ad ogni costo le gesta e scoprì di aver innato il talento di gettarsi avanti all’arma bianca per provare l’ebbrezza di rischiare il tutto per tutto nel ristretto spazio che separa la rete dall’avversario.

Il tutto segue una logica spietata: o chiudi il punto o vieni infilato dall’avversario. Senza alcuna mezza misura. Il tennis però, quando Llodra si affaccia sul circuito, sta inesorabilmente cambiando: il gioco da fondo campo diventa predominante e anche chi praticava il serve&volley si adatta alla trasformazione, soprattutto i giovani sulla rampa di lancio. Si viene ad affermare man mano che il tempo passa un gioco sempre più basato sul fisico, sulla resistenza e su interminabili scambi da fondo. Mika però non ci sta.
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Mentre molti suoi colleghi si sono “piegati” alla modernità, snaturando il proprio gioco sull’altare delle vittorie, Michael ha continuato ad andare avanti per la sua strada, una discesa a rete dopo l’altra. I risultati in carriera arriveranno, facendo storcere il naso a chi pensava che ormai il tipo di gioco espresso dal francese fosse inadeguato all’evoluzione che il tennis stava prendendo. Diventa un affermato doppista, in grado di vincere Wimbledon, Australian Open e una medaglia olimpica.

Eppure Llodra vuole dimostrare che andare a rete non è una peculariatà soltanto del doppio. E anche in singolare la sua carriera è stata di tutto rispetto: tocca il best ranking di numero 21 del mondo e vince 5 tornei ATP,  tra cui spicca il torneo di Rotterdam, conquistato in un avvincente finale contro Robin Soderling: le pennellate del pittore che hanno la meglio sulle mazzate del vichingo. Nel mondo dei picchiatori, Mika si fa strada con classe ed eleganza.

Un perfetto esempio di contrasto di stile sono state le partite contro Juan Martin Del Potro. Lampante è il ricordo di Parigi-Bercy 2012 in cui Llodra impallinò DelPo, giocando un match perfetto. Ma l’ha poi saputo mettere in difficoltà ovunque, sull’amato rapido di Rotterdam come sulla terra di Roma. Giocando in modo talmente atipico per gli standard, alcuni giocatori quando si trovavano di faccia Llodra non erano neanche minimamente abituati  a vedere l’avversario costantemente in avanti, in territori che sono considerati da molti paludi infestate da coccodrilli.

Oltre che sul campo, Mika ha però sempre avuto attitudine nel regalare spettacolo: dal capitombolo su una incolpevole giudice a Wimbledon, il piccione falciato all’AO 2002 e le esultanze poco misurate (vittoria a Wimbledon in doppio in primis). Il suo gioco fatato ha spesso mascherato il carattere scontroso. Su di tutto emergono gli insulti razzisti (“Non è un mercato questo, non stiamo vendendo tappeti!” al giudice di sedia El Jennati) scatti d’ira ( lancio di palla agli spettatori colpevoli di “fare rumore”) e stranezze ( unico giocatore ad utilizzare corde in budello!).
Il tutto, mescolato insieme ha creato un personaggio unico nel tennis 2.0. Lo scorso novembre, dopo la sconfitta contro Tobias Kamke nell’anonimo Challenger di Mouillleron-le-Captif Llodra ha annunciato il suo ritiro (almeno in singolare, c’è ancora uno spiraglio per vederlo ritornare in doppio).

Michael è stato un predicatore nel deserto, in uno sport sempre più basato sul fisico e sulla potenza dei colpi . Il suo era un tennis giocato con il fioretto e non con la sciabola.  Tutti gli esperti sono concordi nel dire: “Llodra doveva nascere trent’anni prima”. Certamente per doti e gioco espresso avrebbe ottenuto molto di più. La voglia matta di attaccare la rete, di  giocare sempre all’attacco, prendendosi tutti i rischi, senza paura, ha ravvivato un panorama tennistico sempre più tendente ad un gioco piatto ed uniforme.

Insomma: merci de tout cœur Mika!

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