“Eugénie Bouchard: ella si va, sentendosi laudare…”

“Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta, e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare” Che chiaroveggente, il buon Dante Alighieri.
Più di settecento anni fa, il Sommo Poeta, decantava all’interno della “Vita Nuova” una creatura idilliaca, diva instancabilmente bella e irraggiungibile, desiderio di tutti e conquista di nessuno. La donna, al tempo identificata (erroneamente) in Beatrice, perfetta figura stilnovista in ogni suo aspetto, altri non è che Genie Bouchard, bionda principessina canadese dalle angeliche sembianze, venuta in Terra per esporre il suo ineccepibile candore.
Divenuta tennista per divina grazia, illumina le platee dei grandi teatri con un gioco rapido ed irruente, scalando con inaudita facilità le vili classifiche tanto agognate dai comuni mortali. Ma lei, che di mortale non ha niente, arrivata al vertice decide di cambiare passo, rotolando celermente dal Paradiso ad un grigio e tenebroso girone dell’Inferno. Essa, però, continua ad incantare, facendo di sé parlare per cadute misteriose all’interno di pericolosi spogliatoi (con annesse denunce a non finire per lesa maestà) e per un’avvenenza irreale che, giorno dopo giorno, attira sponsor e frenetici paparazzi, aprendole in un nonnulla le porte verso una gloriosa carriera da modella e icona di stile.
Giunge allora all’ultima parte di stagione con più servizi fotografici completati che partite vinte, ma, presentandosi al rinomato torneo di Quebec City, per honoris causa le viene conferita la prima teste di serie alla quale, la dolce Genie, dovrà a suo modo render giustizia, cercando un titolo che da tempo manca all’appello. Ma d’altronde, dovesse anche uscire (nuovamente) al primo turno, nessuno oserà rimproverarla, perché, ovviamente, “Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua devèn, tremando, muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare”
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