New York. 29 agosto 2012. Arthur Ashe Stadium. Sono le 18.36, ore locali, quando Kim Clijsters risponde di rovescio a una prima in slice di Laura Robson. La pallina le è appena partita dal piatto corde ma la Clijsters sa già che è destinata ad oltrepassare la riga di fondo. Per questo non tenta nemmeno di rientrare al centro, ma abbassa lo sguardo per una frazione di secondo per poi levarsi la visiera e avviarsi verso la rete, mentre la Robson si porta le mani alla testa, quasi stentasse a credere che la pallina le sia davvero sfilata alle spalle. Nel frattempo Kim è già arrivata alla rete e Laura Robson deve accelerare il passo per raggiungerla, per abbracciare quella donna che ha scritto alcune tra le più belle pagine di questo sport negli ultimi tredici. Mentre la regia televisiva propone il replay di quello che è appena diventato l’ultimo colpo ufficiale della carriera di Kim Clijsters, l’ex numero uno del mondo che non perdeva un match all’US Open dal 2003, indossa la giacca della tuta, si siede e compie un gesto per lei insolito: lascia scorrere, lentamente, le mani tra i capelli, per poi intrecciare le dita dietro alla testa e rimanere alcuni interminabili secondi con lo sguardo fisso nel vuoto, davanti a sé. In contrasto con l’incontenibile gioia della Robson, alle spalle di Kim Clijsters si posizionano sull’attenti tre raccattapalle, l’espressione seria in volto, quasi avessero colto la ‘gravità’ del momento. Kim Clijsters continua a guardare qualcosa, forse senza vederlo, senza sentire il pubblico che spiazzato dall’epilogo, la chiama per nome, fischia, rumoreggia sugli spalti. E poi c’è una folla sbigottita, accalcata sotto al maxischermo posto fuori dallo stadio; e gli organizzatori che mai si sarebbero aspettati che la n.89 del mondo battesse Kim Clijsters e che, solo per questo spiegheranno, non avevano programmato il match nella sessione serale. Il tutto mentre Kim Clijsters fissa un vuoto all’interno del quale solo lei riesce a scorgere qualcosa. Un vuoto fatto forse di frammenti provenienti da un passato solo suo, da un presente solo suo, in attesa di un futuro lontano da quel ‘catino’, dove aveva il pubblico dalla sua parte persino se affrontava delle giocatrici di casa.
Contraddistingue la pittura fiamminga l’uso di più punti di fuga e di una linea dell’orizzonte alta che permettere a chi osserva il dipinto di sentirsi incluso, avvolto nello spazio raffigurato, che non è mai chiuso, anzi spesso un paesaggio lontano si insinua da una finestra, oppure vi sono specchi che raddoppiano l’ambiente. Se l’uso dei colori ad olio agevola ombre e riflessi ad erompere dalla luce, l’utilizzo signorile della posa a tre quarti, la ricchezza di significati nascosti, rende le opere fiamminghe dotate di una completezza maestosa. Kim Clijsters, immobile, lo sguardo risucchiato in un punto lontano, Laura Robson i colori sgargianti del suo completo, l’imponente Arthur Ashe Stadium già prigioniero di un ricordo scandito da tre trionfi e una serie infinita di match al cardiopalmo; il sole che si appresta a svanire dietro a Flushing Meadows tingendo di malinconia quello che potrebbe essere un capolavoro di pittura fiamminga: quanta completezza, quanta luce, quante tenebre, quanta potenza e quanta fragilità, può emanare un momento reso immobile per sempre.
Non a caso, Kim Clijsters è nata a Bilzen, un paese delle Fiandre nella Comunità fiamminga del Belgio. Radici che emergono nella sua personalità: testarda, leale, orgogliosa, cosmopolita ma allo stesso tempo legata visceralmente alla propria terra, capace di possedere una visione concreta ed insieme spirituale della vita. Suo padre, Leo Clijsters, era uno degli sportivi più amati in patria, difensore della nazionale di calcio belga e capitano in due mondiali; sua madre, Els Vandecaetsbeek, è stata una ginnasta di livello internazionale. Dai suoi genitori ha assorbito l’amore per lo sport, per la competizione; nonché una serie di valori che si estendono dal rispetto per l’avversaria alla responsabilità di dover fornire un esempio positivo. Ma non solo, il DNA dei genitori si è fatto largo nella costituzione della figlia dotandola di un fisico che è il compendio della forza muscolare del padre e dell’agilità, della flessibilità di sua madre. Se da madre natura Kim ha avuto in dono il talento, tutto il resto, quel ‘qualcosa in più’ che occorre per riuscire a miscelare la “pozione magica” è farina del suo sacco, dei suoi sacrifici.
Ingredienti questi, indispensabili per forgiare una campionessa, anzi due; perché non poteva essere altrimenti, il destino le ha consegnato anche una rivale, Justine Henin, con cui intraprendere un viaggio destinato a proiettare il piccolo Belgio nell’Olimpo del tennis. Diverse nell’imprinting: Kim che proviene da una famiglia benestante, unita; Justine, orfana di madre, un padre tiranno. Diverse nel carattere: Kim sempre cordiale, sorridente, amata dalle colleghe, dalla stampa, dal pubblico; Justine più introversa, scostante, incapace di entrare nel cuore della gente. Diverse nello stile: Justine, il rovescio più bello di sempre, un tennis affascinante, armonioso; Kim che fa dell’atletismo un tutt’uno con la pesantezza di palla, un gioco teso a mettere costantemente sotto pressione l’avversaria, uno stile aggressivo ma non monotono con tanti ‘assi nella manica’ capaci di soccorrerla nel momento del bisogno; da un recupero di polso, a una volée di tocco. Kim Clijsters e Justine Henin, due donne divise da una rete ma che, sin da bambine, hanno respirato ossigeno dalla stessa bombola, accompagnandosi, perdendosi, cercandosi, ritrovandosi, esaurendosi. Fino a lasciarci orfani di entrambe.
Dopo aver primeggiato nei più importanti tornei juniores del mondo, Kim passa professionista nel 1999, supera le qualificazioni di Wimbledon, sconfigge Amanda Coetzer e si trascina fino agli ottavi dove perde da Steffi Graf. All’U.S Open esce invece al terzo turno, battuta 7-5 al terzo da Serena Williams, poi vincitrice del torneo. Il 20 settembre 1999 vince il suo primo torneo WTA, l’Open di Lussemburgo, termina la stagione al 47° posto della classifica mondiale e viene eletta Newcomer on the year. L’anno dopo fa ancora meglio, vincendo sia a Hobart che a Lipsia. Nel 2001 esplode: ad Indian Wells sconfigge la numero 1 del mondo Martina Hinghis per poi cedere in finale 6-2 al terzo a Serena Williams. Ultimo atto che disputa pure al Roland Garros, ma dove si inchina dopo 2 ore e 21 minuti a Jennifer Capriati, in un match di cui domina 6-1 il primo set, perde 6-4 il secondo e 12-10 il terzo. Oltre ai successi di Stanford, Lipsia e agli Open di Lussemburgo, il 2001 coincide con il trionfo in Fed Cup dove, insieme a Justine Henin, regala al Belgio la prima ‘insalatiera’ della sua storia.
Quattro sono i tornei che la Clijsters si aggiudica nel 2002, tra cui il Master dove sconfigge prima Venus e poi Serena Williams, registrando tra l’altro il record di minor numero di game persi durante l’intera manifestazione. Addirittura nove sono i trionfi del 2003: dal cemento di Sydney, Indian Wells, Stanford e Los Angeles, alla terra di Roma, all’erba di Hertogenbosch, al cemento indoor di Lussemburgo, a Fiderstadt, al Master; Kim Clijsters è un rullo compressore. Durante l’anno perde solo due semifinali, agli Australian Open contro Serena Williams ed a Wimbledon contro Venus; e raggiunge altre sei finali, cinque delle quali le perde contro la Henin tra cui il Roland Garros e l’US Open.
Il Belgio si gongola nel vanto di possedere le due tenniste migliori del mondo, basti pensare che la finale di Parigi fa scomodare persino i reali del Belgio. Una festa che sembra finire a tarallucci e vino con entrambe le tenniste sorridenti e rilassate. Più ostico sarà invece il dopo Us Open, vuoi per l’evidente scippo di un punto cruciale, vuoi per alcune incaute dichiarazioni di papà Leo che ipotizza poco velatamente l’uso di sostanze dopanti da parte della rivale della figlia. Stavolta durante la premiazione le due belghe sono meno sorridenti, meno rilassate, ma chi attende al varco che la loro rivalità si trasformi in odio deve presto ricredersi. Justine Henin, contraddicendo chi da sempre la bolla come una tennista rancorosa, afferma che: «Io e Kim abbiamo sempre vissuto la nostra rivalità in modo spensierato». Il 2003 resta comunque per Kim Clijsters un’annata strepitosa, coronata, in data 11 agosto 2003 dal numero 1 del mondo sia in singolare che in doppio.
Nonostante un infortunio alla caviglia, Kim Clijsters arriva in finale agli Australian Open 2004 senza perdere un set ma, di nuovo, non riesce battere la Henin. Tra l’altro, nel terzo set un giudice di linea chiama out una volée ampiamente buona di Kim Clijsters, impedendole così di ottimizzare una palla break a dir poco fondamentale per l’esito del torneo. «A me quella pallina è sembrata più fuori che dentro»; ha continuato a ripetere per anni Justine. Mentre Kim sdrammatizza l’episodio affermando che «una pallina non determina l’esito di un match»; gli addetti ai lavori non si risparmiano nel definirla troppo “accomodante”, troppo “sottomessa” all’ascendente che Justine produce su di lei. Compromessa la stagione a causa di due gravi infortuni, prima al polso poi alla caviglia, Kim Clijsters si ripresenta in campo nel 2005 ad Indian Weels. È la n.133 del mondo, ma a parte la classifica non è cambiato molto. La belga trionfa sconfiggendo Conchita Martinez, Elena Dementieva e la numero 1 del mondo, Lindsay Davenport. Che sia tornata forte come prima, lo dimostra la settimana dopo a Miami dove batte Myskina, Dementieva, Mauresmo e Sharapova, senza perdere un set. Un risentimento alla spalla le vieta di essere al meglio sia al Roland Garros che a Wimbledon, ma i trionfi ad Eastbourne, Stanford, Los Angeles e Toronto le permettono di scalare la classifica e di presentarsi agli Us Open come quarta testa di serie. All’US Open raggiunge i quarti agevolmente, supera in tre set prima Venus Williams poi Maria Sharapova. In finale piega con il punteggio di 6-3 6-1 Mary Pearce; rea di aver buttato fuori pista Justine e impedendole di compiere fino in fondo la sua vendetta.
L’anno nuovo inizia all’insegna dei problemi: un affaticamento muscolare dell’anca sinistra la costringe a non scendere in campo per la semifinale di Sydney e una distorsione alla caviglia la obbliga al ritiro durante la semifinale dell’Australian Open, spianando la strada ad Amélie Mauresmo. Kim riconquista comunque la vetta del ranking diventando la prima tennista a diventare n°1 del mondo dopo essere riuscita a risalire da oltre la centesima posizione del ranking in meno di un anno. La belga vince sulla terra rossa di Varsavia, continua a perdere contro la Henin nelle semifinali del Roland Garros e di Wimbledon finché l’ennesimo infortunio le proibisce di partecipare all’U.S Open. A gennaio 2007 la Clijsters fa la voce grossa a Sydney dove in svantaggio di un set contro Jelena Jankovic, annulla un match point e chiude 6-4 al terzo. La sconfitta contro la Sharapova in semifinale agli Australian Open, la finale ad Anversa, raggiunta senza perdere un set prima di essere battuta dalla Mauresmo, precedono di poco l’annuncio del ritiro.
Kim Clijsters non ha ancora compiuto 24 anni eppure si dice stanca dei ritmi, delle pressioni che il tennis agonistico ha preteso in tutti questi anni. Un prezzo che il suo fisico, diventato d’argilla a suon di sacrifici, la sua mente e il suo cuore non sono più disposti, forse proprio non riescono più, a pagare. Dopo il matrimonio sfumato con Lleyton Hewitt, il 13 luglio 2007 alle 6 del mattino, Kim Clijsters si sposa con il cestista americano Brian Lynch, in una saletta del comune di Bree, un paese di nemmeno 15.000 abitanti scelto da Kim per farvi sorgere la sua Accademia di tennis. Una vita tranquilla è tutto quello che pare chiedere; una famiglia, un circolo dove insegnare ai bambini e un po’ di serenità. Nemmeno per sogno: mentre è al settimo mese di gravidanza, al padre viene diagnosticato un tumore ai polmoni. L’ex difensore del Malines fa comunque in tempo il 27 febbraio 2008 a veder nascere la nipote, Jada Elle, ad assistere il 14 maggio 2008 al ritiro dalle competizioni di Justine Henin; ed a risvegliare nell’adorata figlia una domanda: è proprio sicura di non avere ancora qualcosa da dare al tennis? La morte di Leo Clijsters, avvenuta il 4 gennaio del 2009, precede di poco l’annuncio che vede Kim, Tim Henman, Steffi Graf e Andre Agassi, impegnati in un’esibizione per inaugurare, in data 17 maggio, 2009 il nuovo tetto sul Centre Court di Wimbledon. Il ritorno nel circuito non è più una vaga ipotesi.
Us Open 2009. Grazie a una wild card, Kim Clijsters parte dal tabellone principale e al primo turno supera 6-1 6-1 Viktoriya Kutuzova. Una vittoria facile, determinata da un turno facile, assicurano gli scettici. Al secondo turno però sconfigge la numero 14 del mondo, Marion Bartoli. Sbalorditivo è principalmente il fatto che, dopo aver perso il primo set 7-5, Kim abbia dominato 6-1 6-2 la francese. Contro la connazionale Kirsten Flipkens non c’è storia: 6-0, 6-2. Al quarto round affronta Venus Williams. Se nel primo set alla belga riesce tutto e lo vince 6-0, nel secondo un’irrequieta Venus replica all’onta con un 6-0 in suo favore. Nel terzo set entrambe riescono finalmente a giocare il loro miglior tennis ma è la belga a piazzare la zampata vincente chiudendo 6-4. Dopo aver superato la cinese Na Li 6-2, 6-4, in semifinale Kim si ritrova opposta a Serena Williams. Le due giocano un match fantastico, purtroppo però sul punteggio di 6-4 6-5 15-30, tutto in favore per la Clijsters, una giudice di linea ha la pessima idea di chiamare un’inesistente fallo di piede a Serena Williams. L’americana inizia a roteare la racchetta sotto al naso della giudice e ad inveirle contro, quanto basta perché l’arbitro le infligga un warning per condotta antisportiva. In precedenza però la Williams aveva già ricevuto un altro warning per abuso di racchetta, quindi è inevitabile il penalty point. Il match finisce lì. Serena esce dal campo visibilmente furiosa, non prima però di aver raggiunto la Clijsters nella sua metà campo ed averle stretto amichevolmente la mano. La belga, inizialmente scossa per quanto accaduto in campo, ha commentato l’episodio fornendo l’ennesima prova della sua sportività: «Sul momento non ho capito cosa fosse successo, ora posso dire che chiamare un fallo di piede in un frangente simile significa rovinare una partita». Ad attenderla in finale c’è Caroline Wozniacki. Le due giocano un’ora e 35 minuti di tennis ansiotico ma alla fine è la Clijsters ad alzare il trofeo. Chi ha il cattivo gusto di considerarla un’impresa ‘incompleta’ è presto accontentato: Justine Henin elogia l’amica ma allo stesso tempo si dice pronta al rientro.
È un ritorno al passato il primo torneo del 2010: a Brisbane, Kim Clijsters e Justine Henin si ritrovano in finale. Kim conduce 6-3 4-1 quando la Henin risorge, fa suo il secondo set e si porta 3-0 nella frazione decisiva. L’ennesimo capovolgimento spinge Kim in vantaggio per 5-3 ma la tenacia non ha mai fatto difetto a Justine che annulla 2 match point e trascina l’incontro fino al tie-break. Sul secondo match point la Clijsters spalma un rovescio sulla riga ed alza le braccia al cielo. L’arbitro però interviene e corregge il giudice di linea assegnando il punto alla Henin. La solita storia, verrebbe da dire. Questa volta però la Clijsters resta concentrata, si procura un altro match point e vince il torneo facendo chiaramente capire alla Henin che ‘qualcosa è cambiato’. Un altro 7-6 al terzo, sempre a favore di Kim, si registra nel match che vede opposte le due belghe nella semifinale di Miami; in un torneo che la Clijsters farà suo superando poi Venus Williams per 6-2 6-1.
Nella “seconda carriera” di Kim e Justine si inverte così la tendenza dei loro head to head: la Clijsters non perderà più uno scontro diretto con la Henin e, l’ago della bilancia finirà per pendere a favore della fiamminga, in vantaggio per 13-12 sulla vallone. La vittoria di Cincinnati in finale su Maria Sharapova, rende l’idea dello stato di forma con cui Kim Clijsters si presenta all’Us Open. Giunta ai quarti fatica tre set contro Samantha Stosur, mentre in semifinale affronta Venus Williams. Con un 6-4 frutto di un solo break, Venus vince il primo set ma nel secondo Kim ingrana una marcia in più e, dopo aver sprecato un vantaggio di 5-2 riesce comunque a far proprio il tie-break. È un game al limite della fantascienza quello che Venus e Kim giocano sul 4-4 della tornata decisiva ed è la belga ad aggiudicarselo per poi chiudere l’incontro. La finale contro Vera Zvonareva è per Kim una formalità tanto che non impiega nemmeno un ora per infliggerle un impietoso 6-2 6-1.
Forte della vittoria al Master, all’Australian Open 2011 Kim Clijsters si presenta come grande favorita. Dopo aver inflitto un perentorio 6-0, 6-0 a Dinara Safina, batte la Suarez Navarro, la Cornet, la Makarova, Agnieszka Radwanska, ed in semifinale infrange i sogni di gloria di Vera Zvonareva. Il 29 gennaio 2011 Kim Clijsters sconfigge in finale Li Na 3-6 6-3 6-3 ed il pubblico australiano la incorona Regina di Melbourne. «Durante la premiazione mi sono chiesta cosa stesse succedendo. Tutti erano così felici per Kim, che sembrava ci fossero non uno ma 15.000 vincitori dell’Australian Open»; ricorda Li Na. La belga torna anche numero uno del mondo ma, da quel momento, il fisico inizia a sgretolarsi: caviglie, ginocchia, anche, polso, spalla, collo, addominali; non c’è un osso ne’ un muscolo che non la costringa a stop più o meno prolungati.
Di fatto, dal trionfo di Melbourne, Kim riesce a disputare un torneo decente solamente a distanza di un anno, a Melbourne nel 2012. Seppure in condizioni atletiche borderline, Aussie Kim riesce a prevalere su Na Li e Wozniacki prima di arrendersi in semifinale alla futura campionessa, Victoria Azarenka. Il resto della stagione è un’incessante tribolazione fatta di ritiri, vittorie ordinarie e sconfitte intollerabili. La rinuncia di giocare il Roland Garros, la disfatta subita per mano di Angelique Kerber agli ottavi di Wimbledon, i quarti alle Olimpiadi dove Maria Sharapova la sconfigge senza aver bisogno di premere sull’acceleratore, ricoprono di oscuri presagi l’attesa del suo ultimo US Open. La rocambolesca uscita di scena, al secondo turno contro Laura Robson, sono l’ennesima prova che Kim Clijsters è ormai solo il fantasma della prodigiosa tennista che era; una numero uno capace di conquistare 4 Slam, 3 Master per un totale di 41 titoli.
In un doppio Olimpico con protagoniste Kim Clijsters e Justine Henin il Belgio ci ha sperato fino all’ultimo. Ci hanno sperato fino all’ultimo anche gli appassionati, quelli veri, quelli che hanno capito sin dall’inizio che era impossibile amare solo una delle due, che era ridicolo odiare l’altra. Fino all’ultimo forse ci hanno sperato pure loro, Kim e Justine. Ma non era destino. Dopo l’esibizione allo stadio Re Baldovino di Bruxelles, dove Kim ha giocato e sconfitto Serena Williams per poi fare sul sedile posteriore di una Triunph un commuovente giro di campo insieme a Justine Henin per salutare i 40.000 spettatori presenti; il Belgio ha omaggiato la sua tennista più amata con un match d’addio allo ‘Sportpaleis’ di Anversa. In questo caso Kim ha giocato prima un singolare contro Venus Williams per poi disputare un doppio, in coppia con Amelie Mauresmo, opposte a Venus e Kirsten Flipkens. Tutte persone che hanno accompagnato Kim durante il suo viaggio nel mondo del tennis. Un percorso intrapreso soprattutto insieme a Justine Henin, presente nel parterre, vicino al principe Filippo e alla principessa Mathilde. «Siamo state l’una per l’altra una fonte di motivazione. L’una senza l’altra non avremmo mai ottenuto quello che abbiamo ottenuto»; dirà Justine Henin. Una frase che riassume una vita, anzi due. Una frase che contiene tutte le emozioni, tutte le vittorie, le sconfitte, le gioie, i dolori, le amarezze, i rimpianti, le speranze, la grandezza di una vita, di due vite, capaci di dipingere un numero sconvolgente di opere immortali. I dipinti di Kim però, hanno rapito il cuore del tennis.