Non deve essere facile essere marito di una donna che in Patria è considerata una sorta di idolo nazionale. Ragione in più se quella patria è la Cina con i suoi 1.341.900.000 di ustrbitanti. Essi, non deve essere facile essere il consorte della prima cinese capace di trionfare in un torneo del Grande Slam e che, da quel giorno, anche perché la Cina è grande e ricca, le sono saltati addosso sponsor del calibro di Nike, Mercedez-Benz, Rolex e Hagen-Dasz. La situazione si complica ancora di più se quella moglie famosa e ricchissima ha deciso di licenziarti. Perché Jiang Shan, ex tennista professionista di bassa classifica, diventato marito e coach di quel portento di moglie-tennista a un certo punto si è visto dare il ben servito. Le cose non andavano più bene: i risultati non arrivavano più, il gioco lasciava a desiderare e, a quanto pare, la colpa era la sua, di quel marito allenatore che non spiccica una parola di inglese e che alla notte russa troppo forte. E così la moglie-tennista, Na Li, decide di voltare pagina professionalmente parlando, ma per farlo deve voltare le spalle a lui, al marito. Urge un nuovo coach e la scelta cade su Carlos Rodriguez, l’uomo che ha creato Justine Henin. Jiang si mette da parte, pare non sia un tipo invadente, e la prima settimana in cui la moglie avvia la nuova collaborazione, non presenzia agli allenamenti. Tutte le sere però lei si dice distrutta e gli racconta di quanto quel Rodriguez la faccia faticare. Possibile che la moglie sia finita nelle mani di uno squilibrato? Persuaso che sia Na ad esagerare la faccenda, opta comunque per andare ad accertarsi coi suoi occhi. E così un bel mattino, verso le nove, raggiunge la sua signora al centro in cui si allena e la ritrova in palestra. Lei è già lì da un ora e Jiang se ne rimane buono, buono per un’altra oretta e poi, verso le 11, annoiato e spazientito insieme le chiede: «Ne hai ancora per molto?» . Na Li dà un occhiata al programma e risponde: «Sono solo a metà».
Na Li inizia a giocare a tennis all’età di nove anni e diventa professionista nel 1999. Grazie ai numerosi successi ottenuti nel circuito ITF riesce ad issarsi fino al 136esimo posto della classifica mondiale ma, nei due anni seguenti, una catena di problemi fisici la catapultano oltre la 300esima posizione. Da qui la decisione di ritirarsi. È l’inizio del 2002 quando Na torna in Cina, si iscrive all’Università ed inizia a condurre una vita lontana dal tennis. Finché, così come aveva scelto di sparire, nel maggio del 2004 fa il suo ritorno nel circuito. Riparte dai tornei ITF, ne vince quattro a man bassa e, approfittando di una wild card offertale dagli organizzatori del torneo di Pechino, raggiunge la semifinale prima di essere sconfitta da Svetlana Kuznetsova. La settimana dopo si presenta a Guangzhou dove supera le qualificazioni e conquista il suo primo titolo WTA. A fine anno sfonda il muro delle top 100.
Tra alti e bassi Na Li prosegue la sua scalata al ranking. Nel 2005 perde al terzo turno all’Australian Open e raggiunge la finale ad Estoril ma, a maggio, una distorsione alla caviglia la costringe a star lontana dai campi per tre mesi. Si ripresenta a Montreal dove sconfigge Jelena Jankovic e agguanta i quarti. Il 2006 con una sfilza di primi turni, finché, a maggio lancia segnali di ripresa ad Estoril dove perde in finale contro la connazionale Jie Zheng. Si comporta bene pure negli slam: terzo turno al Roland Garros, sconfitta dalla Kuznetsova; quarti a Wimbledon, dove cede alla Clijsters, ottavi allo U.S Open. Dopo un 2007 interlocutorio, nel gennaio 2008 si impone a Goald Coast. Al che si susseguono buoni piazzamenti ad altrettanti match sotto tono, tanto che per tornare al trionfo Na deve attendere più di due anni: quando sull’erba di Birmingham sconfigge Maria Sharapova ed arriva a ridosso delle top 10.
Poi l’esplosione nel gennaio 2011. Na Li vince il torneo di Sydney, in finale su Kim Clijsters, e allo Australian Open sembra inarrestabile: dopo essere prevalsa su Petkovic e Azarenka, in semifinale ha ragione sulla n°1 del mondo Caroline Wozniacki e diventa la prima cinese ad accedere ad una finale di una prova del Grande Slam. All’ultimo atto viene fermata da Kim Clijsters, ma il grande traguardo le dona fiducia. Al Roland Garros si presenta in forma strepitosa. Dopo aver regolato Kvitova, Azarenka, in semifinale si prende la soddisfazione di sconfiggere Maria Sharapova il cui coach, Thomas Hogstedt, l’anno prima l’aveva liquidata via e-mail per iniziare a seguire la russa. Il 4 giugno 2011 Na Li infligge un irrevocabile 6-4 7-6 alla campionessa uscente, Francesca Schiavone, e per la prima volta nella storia del tennis sul Philippe-Chatrier risuona l’inno cinese.
Na Li è nata a Wuhan il 26 febbraio del 1982. Nell’agosto del 2012 ha scelto di rimettersi in gioco. A un’età in cui la maggior parte delle sue colleghe se non si sono già ritirate sono hanno programmato la data fatidica, dopo tanti sacrifici, una carriera travagliata, una vittoria in uno slam ed un conto corrente da capogiro, Na Li ha deciso di mettersi nelle mani di Carlos Rodriguez, una sorta di schiavista persuaso che risultati e sacrifici siano un’equazione matematica, che impone la sua mentalità prima che in campo, fuori dal rettangolo di gioco, nel quotidiano. Nell’agosto 2012 Na Li ritrova presto il suo miglior tennis; contraddistinto da colpi piatti ed incisivi e; dopo la finale raggiunta a Montreal torna alla vittoria a Cincinnati. Poi un piccolo calo psico-fisico allo U.S Open, un Master senza infamia e senza lode ed un avvio di 2013 strepitoso. Il 5 gennaio Na Li vince in casa, a Shenzhen, e la settimana dopo vola a Sydney dove viene sconfitta da Agnieszka Radwanska in semifinale. Si presenta all’Australian Open come testa di serie n.6, gioca in sicurezza i match che la vedono opposta a Sesil Karatantcheva, Olga Govortsova e Sorana Cirstea; annulla un set point nel primo set per poi regolare 7-6 6-1 la tedesca Julia Goerges e disputa due match da favola, prima contro Agnieszka Radwanska nei quarti, poi contro Maria Sharapova in semifinale. Giunta all’ultimo atto, Na Li sta dominando anche Victoria Azarenka ma, ad inizio di secondo set, una duplice distorsione alla caviglia sinistra le impedisce di far suo lo slam aussie. “So che non sono più una ragazzina, ma non vedo l’ora di tornare qui, il prossimo anno”; dichiara Na Li, durante la premiazione; dimostrando di essere più forte, più grande persino della sfortuna che l’ha privata di un titolo che meritava più di chiunque altra.
Na Li sale fino al quarto gradino del ranking ma, nella restante parte di stagione, accusa un po’ di stanchezza e non riesce a mantenere lo stesso livello di gioco. Anche l’inizio del 2012 è avaro di soddisfazioni seppure un p0’ ovunque viene fermata da grandi nomi o colleghe in ascesa. Allo Australian Open cozza nuovamente contro Kim Clijsters, però stavolta non in finale bensì agli ottavi. A febbraio è costretta a fermarsi per un infortunio alla schiena e, una volta rientrata si arena in quattro quarti di finale: a Indian Welles, a Miami, a Stoccarda e a Madrid; dove viene eliminata nell’ordine da Kerber, Sharapova, Agnieszka Radwanska e Azarenka. Arriva quindi in finale a Roma dove, pur subendo la rimonta di Maria Sharapova che la sconfigge 7-6 al terzo, dà l’impressione di poter difendere il titolo al Roland Garros. E invece no; agli ottavi inciampa nella Shedova che la obbliga ad abbandonare anzitempo Parigi. Na Li delude anche a Wimbledon, dove perde al secondo turno e alle Olimpiadi, dove fa le valigie dopo appena un match. Ma l’ennesima svolta della sua carriera è vicina: in suo soccorso arriva Carlos Rodriguez.
Imperscrutabile in campo quanto sorridente fuori. Gentile, ma riservata. Na Li non ha mai amato parlare di se’ e ha sempre distribuito le informazioni su di se’ e la sua vita con il contagocce. Figlia unica, legatissima alla madre; Na Li ha raccontato che: «Mio padre è morto quando avevo quattordici anni. È stata mia madre a crescermi. Non era certo facile in quegli anni, in Cina. È sempre stata una donna molto esigente. Mi spronava a fare sempre meglio. Sin da bambina mi sono sentita ripetere che potevo, che dovevo essere migliore». Una madre forte, rigida, capace di tirarla su senza l’aiuto di nessuno, ma che non riesce a seguire i match della figlia. Basta pensare che la finale del Roland Garros è stata vista da 116 milioni di cinesi, ma non da Yan-Ping, sua madre. «Tante volte le ho chiesto di viaggiare insieme a me, ma lei non vuole. Vedermi giocare le procura tensione. Quando sa che gioco esce addirittura di casa. Aspetta che le arrivi un sms per sapere come sono andata». Nonostante in lei dimori ormai una mentalità occidentale parla della Cina con estremo rispetto, seppure ci tiene a precisare che: «Da quando sono professionista ho cercato sempre di esserci per il mio Paese. Ho giocato per nove anni di fila in Fed Cup, difendo i colori del mio paese alle Olimpiadi e molte volte ho disputato i Giochi d’Asia. Certo nel circuito professionistico gioco per me stessa».
Dopo il duplice infortunio alla caviglia subito durante la finale dello Australian Open 2012, Na Li si è ripresentata in campo a Miami dove ha raggiunto i quarti di finale. Avara di gioie è stata la terra battuta: se si esclude un ultimo atto perso a Stoccarda contro Maria Sharapova, la cinese si è vista esporre un cartellino rosso da Madison Keys al primo step di Madrid, da Jelena Jankovic al secondo turno di Roma e da Bethanie Mattek-Sands al secondo turno di Parigi. I quarti ad Eastbourne ed a Wimbledon precedono tre semifinali consecutive: da Toronto a Cincinnati all’U.S Open. Finalista all’ultimo Master disputato a Instanbul, sospinta dall’irriducibile Rodriguez Li Na ha alzato le braccia al cielo a Shenzhen per quindi scrivere un’altra pagina di storia a Melbourne, dove stringe in pungo il secondo slam della sua carriera. Il passo falso compiuto a Doha, dove viene superata dalla n°134 del mondo Petra Cetkovska, viene alleviato da una semifinale ad Indian Wells e un ultimo atto a Miami. Con il senno di poi, Li Na si destreggia nell’ultimo grande duello della sua carriera a Madrid, quando s’inchina a Maria Sharapova. Un torneo di Roma sottotono, dove un’intossicazione alimentare la ferma molto prima di Sara Errani, il disastro parigino dove viene liquidata 6-1 al terzo da Kristina Mladenovic, l’apparizione a Wimbledon dove perde contro Barbora Zahlavova Strycova. Poi lo stop. Il ginocchio destro fa “crak”. Ma forse a frantumarsi non sono solo tendini e cartilagini. Forse lo scheletro di Li Na, ormai pago, non è più sorretto dalle motivazioni di un tempo.
L’ultima scena del film di Li Na non avviene al termine di un match disputato nella sua Wuhan tra gli applausi, tra il calore del pubblico amico e devoto – dove si presenterà solo per presenziare ad una toccante cerimonia – non avviene neppure nell’artefatta atmosfera che caratterizza un po’ tutte le conferenze stampa, davanti ai microfoni e a una schiera di giornalisti che, per quanta buona volontà possano aver avuto, non sono forse mai riusciti a conoscerla completamente, ad entrare in pieno nel cuore di quella donna di trentadue anni che in Cina è molto di più di una n.2 del mondo che ha trionfato in nove tornei WTA tra cui due prove del Grande Slam, è un esempio, un idolo, capace di smuovere un movimento, di suscitare nei suoi connazionali emozioni profonde, probabilmente irripetibili. Li Na dice addio al tennis e lo fa attraverso una lettera “a cuore aperto”, in certi passaggi commuovente, pubblicata sul suo profilo facebook, rimbalzata in tutto il mondo.
«Cari amici, per quasi quindici anni siamo stati ciascuno parte della vita dell’altro. Come giocatrice di tennis e rappresentante della Cina ho girato il mondo, ho preso parte a centinaia di tornei WTA, alla Fed Cup, alle Olimpiadi. Tutti voi siete sempre stati lì, con me, mi avete sostenuta, mi avete appoggiata, e incoraggiata affinché raggiungessi in pieno il mio potenziale. Rappresentare la Cina su un campo da tennis è stato un privilegio straordinario, un vero onore. Avere avuto l’opportunità di portare maggiore attenzione nei confronti dello sport in Cina e in tutta l’Asia in generale è qualcosa che mi renderà felice per sempre. Ma nello sport, come nelle vita, anche le grandi cose devono finireIl 2014 è stato uno degli anni più importanti della mia carriera e della mia vita, culminato con il mio secondo titolo del Grande Slam agli Australian Open. È stato anche un anno pieno di momenti difficili, come quello inevitabile, di chiudere la mia carriera agonistica, sicuramente più difficile rispetto che a vincere sette match di fila nel caldo di Melbourne. Mi ci sono voluti molti mesi di agonia per prendere coscienza di come alcune ferite cronache non mi permetteranno mai più di essere la giocatrice di tennis che posso e voglio essere. La maggior parte delle persone che mi conoscono sanno che la mia carriera è stata segnata da costanti problemi al ginocchio destro. Il tutore nero che indossavo ogni volta che entravo in campo era diventato il “marchio di fabbrica”. I problemi al ginocchio sono giunti a superare la mia stessa vita. Dopo quattro interventi chirurgici e centinaia di infiltrazioni per alleviare il gonfiore e il dolore, il mio corpo mi ha chiesto di smettere. I miei tre precedenti interventi riguardavano il ginocchio destro, a luglio sono stata operata a quello sinistro. Dopo alcune settimane post-intervento ho cercato di affrontare tutti gli step necessari per tornare in campo. In passato ci sono riuscita, ma questa volta ho sentito che era diverso. Uno dei miei obiettivi era quello di recuperare il prima possibile per poter essere presente al torneo di Wuhan. Eppure, alle mie sollecitazioni per cercare di tornare al 100%, il mio corpo ha risposto suggerendomi che a 32 anni non sarò mai più in grado di tornare ai massimi livelli. Lo sport è competizione e non è possibile presentarsi in campo se non si è al 100%. Ho pensato che vincere il mio secondo Slam e raggiungere la seconda posizione del ranking sia stato il modo giusto per dire addio al tennis agonistico. Sono in pace con me stessa, non ho rimpianti. Non dovevo essere qui. Poche persone credevano nel mio talento, nelle mie capacità, ma ho trovato il modo di perseverare, per dimostrare a loro e a me stessa che si sbagliavano. Quello che ho realizzato va oltre ai miei sogni più selvaggi! Quello che ho fatto per il mio Paese è uno dei successi di cui vado maggiormente fiera».
Li Na spende qualche parola anche per quanto riguarda il suo futuro, legato al tennis e non. «Nel 2008 in Cina venivano disputati due tornei WTA, oggi ce ne sono dieci! E io non voglio fermarmi qui. Insieme alla IMG, la società che gestiste la mia figura professionale, stiamo cercando di realizzare diversi progetti che permetteranno al tennis di crescere sempre più in Cina. Tra essi c’è pure una mia Accademia. Sarò coinvolta anche nella “Right to Play”, un’organizzazione tesa ad aiutare i bambini più sfortunati. Continuerò a dedicare tempo ed energia a chi ha bisogno di aiuto. Quello che una volta era un sogno, oggi in Cina è realtà. D’altro canto, sul piano personale non vedo l’ora di iniziare un nuovo capitolo della mia vita. Non vedo l’ora di rivedere i luoghi meravigliosi in cui ho giocato a tennis, però questa volta assaporarli con occhi diversi. Non vedo l’ora di rallentare, di vivere la mia vita con un ritmo più rilassato».
Li Na chiude la lettera spiegando come «Il tennis è uno sport individuale e il compito di noi giocatori è concentrarsi su noi stessi. Ma nessun giocatore potrà mai diventare un campione da solo, senza l’aiuto di altre persone. Non c’è abbastanza spazio per ringraziare tutti coloro che hanno intrapreso questo cammino insieme a me ed hanno contribuito alle mie vittorie. Ma devo ringraziare coloro che mi hanno accompagnato attraverso gli alti e i bassi della mia carriera e che mi hanno resa la persona che sono oggi». Tra le persone che Na ringrazia spiccano sua madre: “per il tuo sostegno senza fine. Attraverso le risate e le lacrime sei sempre stata al mio fianco»; suo padre: «te ne sei andato troppo presto e io non sono più stata la stessa”; suo marito Jian Shan: «sei al mio fianco da vent’anni. Tu sei tutto per me, ti sono grata per aver condiviso la tua vita con la mia»; le sue prime allenatrici Xia Xiyao e Yu Liqiao «per avermi messo sulla strada del tennis», diversi funzionari dello sport cinese, il suo manager Max Eisenbud, il team Nike, ed anche i tre coach fondamentali per la sua carriera; Thomas Hogstedt: «per avermi fatto conoscere il tennis professionistico», Michael Mortenson: «per avermi aiutata a vincere il mio primo Slam», e Carlos Rodriguez: «per avermi spinta oltre a limiti che pensavo di non poter raggiungere».
La Festa della Luna è una delle ricorrenze tradizionali cinesi più ricche di significato poetico per vie delle antiche leggende che l’hanno determinata: conigli che popolano il satellite, arcieri infallibili, imperatori incolleriti, guerrieri pronti a tutto. La sera che cade nel quindicesimo giorno dell’ottavo mese lunare, le famiglie cinesi si riuniscono all’aperto, attorno a una tavola imbandita, e ammirano il chiarore della luna. Li Na non si è mai accontentato di ammirarla, l’ha sognata, l’ha pretesa, l’ha afferrata.