Così va il tennis. Decisamente una storia di raccontare quella di Mischa Zverev, professionista da più di un decennio nel mondo del tennis, alle prese con infortuni e acciacchi di vario tipo, e con la complicazione, non esattamente trascurabile, di un fratello che ha i segni del campione del futuro. Insomma, tutto quello che serve per immaginare di fare da buon comprimario, fare qualche bel doppio insieme, e vivere la propria carriera, per quello che il fisico ancora consentirà, in ombra. Mischa però non ci sta.
Inizia l’anno alla posizione 172, con umiltà alterna qualificazioni ATP a partecipazione nel circuito Challenger. Gioca discretamente, anzi, gioca bene, ma propone un tennis che in questi anni è in via di estinzione, ovvero il buon serve&volley, dotato com’è di un servizio mancino e di una straordinaria presenza a rete. Un primo squillo di tromba arriva in aprile, quando a Sarasota in Florida vince il torneo, riavvicinando i top 100, ma bisognerà aspettare luglio per rivederlo nei quarti di finale, ancora nel Challenger tour a Braunschweig in Germania. Con l’estate arriva la forma e la continuità a livello ATP: qualificazioni negli ATP250 di Atlanta, Los Cobos, nel Master1000 di Cincinnati, allo US Open (dove si issa fino al secondo turno), e poi ancora a San Pietroburgo, dove è il nostro Paolino Lorenzi a fermarlo nel tabellone principale, a Shenzhen, dove raggiunge i quarti, bissati al Shanghai con resa solo dinanzi a Nole Djokovic, fino all’odierna semifinale di Basilea (citofonare Cilic).
Un giocatore decisamente in-the-zone, che, mentre scriviamo, è al n. 72 del ranking (e 77 ma in ascesa nella Race 2016) con proiezione verso la top 50. La famiglia Zverev, con padre-coach a guidare il gruppo, bussa pesantemente alle porte del circuito ATP, a conferma che la maturità dei trentenni (o giù di là) non è un mito metropolitano o giornalistico, ma una realtà che ci fa capire come la vita tennistica si stia progressivamente allungando. Certo, un finale di stagione come quello del 2016, con 2 big fermi ai box, altri non esattamente brillanti per concentrazione e condizione, potrebbe non essere indicativo: ma i numeri di Mischa Zverev parlano di circa 120 posizione scalate, e, intendiamoci, si tratta di quelle posizioni più difficili da scalare, ovvero dalle posizione 150 in poi, quando il circuito presenta il conto, e sono i dettagli che consentono di entrare nel gotha del tennis che conta.
Zverev è l’esempio di chi, trainato dalle energie del fratello più piccolo, dimostra che “si può fare”. In Italia, quindi, possiamo non perdere le speranze?