Mistero della fede: il “Guru” Alex Dolgopolov, croce e delizia di un tennis post-moderno

Quando si pronuncia il suo nome, senza voler fare riferimento al padre Oleksandr sr., si sa già che andiamo a trattare un argomento spinoso, controverso e per certi versi altamente snervante, per interlocutori qualsiasi e fan incalliti allo stesso tempo. Già, perché il “caso” Dolgopolov, che poi caso ormai non lo è più, è quanto di più distruttivo ci possa essere per un tifoso che vede nell’ucraino il suo pupillo, anche se c’è chi adora quel tipo di patema d’animo lasciato da qualsiasi evento possa avere come protagonista il tuo idolo.

Talento cristallino, follia quanto basta e i soliti margini di miglioramento che fanno ben sperare per un futuro radioso: questo è Alex Dolgopolov che, partendo dallo status di figlio d’arte, non ha mai potuto esimersi dal provare a raggiungere quella “piazza importante” quasi imposta da una gioventù spesa alla corte di grandi campioni quali Medvedev (allenato dal padre), Agassi, Becker e Courier.

Circuito Juniores altalenante ma, si sa, spesso, quando fisico e testa cambiano nel corso del loro naturale sviluppo, coloro che da giovanissimi erano dei cannibali senza rivali, scoprono tutte le loro incertezze e finiscono per perdersi in un bicchier d’acqua. Sebbene molti potranno pensare il contrario, Alex non fa parte di questa categoria, dato che occupa la casella N.23 del ranking e nel primo 2012 era riuscito ad issarsi fino alla 13esima piazza, con addirittura promesse di Top10. Le sue mirabolanti imprese e gli immancabili rimpianti arrivano fin qui e probabilmente non si spegneranno neanche con la fine della sua carriera.

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Nella sempre discussa ricetta per diventare N.1 o giù di li, esce fuori, tambureggiante, sempre la stessa prerogativa: regolarità, costanza e definizione.

Per primeggiare è importante restare competitivi e saldi, mentalmente e fisicamente, su ogni punto e ad ogni torneo disputato nell’arco dell’anno, così da sopperire alle eventuali carenze date dalla forma fisica e dai periodi su superfici meno adatte al proprio gioco. Per fare questo occorre sviluppare negli anni, con una mole enorme di lavoro, un gioco solido senza crepe o punti deboli troppo marcati, con pochi errori o migliaia di vincenti, per chi fosse in grado di confidare solo in questi ultimi, e ovviamente una battuta degna di tale nome, che male di certo non può fare in questo tennis moderno, tutto cannonate e poco “amore”.

Battuta? Check! Vincenti? Check! Per il resto notte fonda, anche se la situazione non è affatto così facile come possa sembrare semplicemente descrivendola.

Dolgopolov ha una classe che pochi possono permettersi, accompagnata da quello spirito nord-europeo (anche più in là) che riesce a farti scattare la molla; quella molla che regala sprazzi di arte tennistica mixati a follie da mani davanti agli occhi, oltre che nei capelli, all’occorrenza.

Nello scorso torneo di Indian Wells, così come a Rio poche settimane fa, ma anche a Washington nel 2012, Alex è riuscito nell’impresa di stupire sempre di più, mostrando una convinzione nei suoi mezzi quasi paurosa. Il problema di base sta nell’impossibilità, visto il suo attuale stile di gioco, di mantenere costanti quelle stoccate e quei recuperi che bene gli hanno fatto fare in questo inizio di 2014.

Ecco, dunque, la domanda da un milione di dollari: possiamo arrogarci il diritto di volerlo più solido e continuo? Più ferreriano insomma, per apprezzarlo come testa di serie più spesso? Oppure vogliamo lasciargli la facoltà di fare su e giù per la classifica sfornando magie e giochetti quando meno te l’aspetti, tutto a discapito di questa “benedetta” continuità?

Beh, forse a questa domanda Alex ha già risposto, aggiungendo qualche sfumatura alle sue interviste e riempiendo, quando capita, di colore i campi da tennis che vedono di scena il circuito maestro. Anche se qualcuno per questo si avvicina a grandi passi verso l’esaurimento nervoso, partita dopo partita.

Odi et amo, dicevano…

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