«Quello che la rendeva speciale era l’impegno che ci metteva. Aveva dodici anni eppure sembrava non conoscere la fatica, era capace di provare lo stesso colpo per ore, sempre con la stessa concentrazione. E questo non per un giorno, non per una settimana, ma per un mese, per mesi se ce n’era bisogno». Parola di Nick Bollettieri. Quella dodicenne due volte bimane, mancina di nascita, che aggrediva ogni pallina con uno stile tutto suo, avulso da qualsiasi canone, che con ferocia urlava, quasi grugnendo, a ogni impatto. È Monica Seles.
Nata il 2 dicembre del 1973 a Novi Sad; Monica Seles fiorisce nell’Accademia di Nick Bollettieri a Bradenton in Florida. È una bambina quando il più noto Pigmalione del mondo del tennis la mette in campo con tenniste di otto-dieci anni più grandi di lei: Raffaella Reggi, Carling Basset, Lisa Bonder e, sotto allo sguardo compiaciuto del suo mentore, le batte tutte, regolarmente. È Nick Bollettieri a modificare i suoi movimenti in apertura, a suggerirle di usare meno polso per limitare i rischi di tendiniti, a renderle più fluido il servizio, ritoccandole il lancio di palla e ad insistere che, una volta ridotta l’avversaria all’impotenza tramite il suo pressing asfissiante, entrasse in campo per chiudere al volo, con uno schiaffo. «I Seles sono la famiglia più esigente con cui abbia mai avuto a che fare. Qualsiasi cosa dessi loro, loro chiedevano di più” – ha scritto Bollettieri nella sua biografia per poi raccontare un buffo episodio – «Chiedevano in continuazione cartoni di palline nuove senza però mai restituire quelle usate. Certe volte ancora mi domando che fine abbiano fatto tutte quelle palline…».
Quella ragazzina dallo straordinario talento, che parlava molto raramente ma che sapeva ascoltare con attenzione, ha forse procurato il più grande dolore tennistico al grande Nick che, con la stessa facilità con cui si è visto consegnare la piccola Monica da papà Karolj, ex disegnatore di fumetti, mamma Ester e Zaltan, il fratello maggiore di otto anni; in modo altrettanto rapido si è visto portar via sotto agli occhi la sua creatura di cui si pavoneggiava come un padre fa con il primogenito.
Si narra che una cometa ha annunciato la nascita di Napoleone Bonaparte e che il futuro imperatore dei francesi sia nato su un tappeto in cui erano raffigurate scene dell’Iliade. Anche a maggio del 1989 una cometa è stata avvistata nei cieli di Houston e lo scenario è altrettanto epico: il Virginia Slims. Monica Seles ha quindici anni e sconfigge in finale una delle regine del tennis, Chris Evert. «She is the next»; sentenzia la Evert durante la premiazione; «È lei il futuro». Che sia proprio così, Monica lo dimostra ben presto, basta attendere il Roland Garros dove in semifinale trascina al terzo set Mrs Grande Slam, sua maestà Steffi Graf; provocandole uno scossone talmente micidiale che la tedesca si porta dietro fino a due giorni dopo, quando perde contro Arantxa Sanchez.
L’appuntamento con il Roland Garros è rimandato solo di un anno: nel giungo del 1990, a sedici anni e sei mesi, Monica Seles sconfigge in finale Steffi Graf e diventa la più giovane vincitrice degli Internazionali di Francia. Dopo il trionfo al Master, che le consente di finire la stagione da n.2 del mondo, la Seles inaugura il 1991 con la vittoria all’Australian Open e, dopo le ennesime conferme a Key Biscayne e Houston, diventa n.1 del mondo, scalzando Steffi Graf dopo quattro anni di soliloqui.
Confermatasi al Roland Garros, la Seles deve fermarsi sei settimane a causa di una periostite ma, di ritorno all’US Open conquista l’America per poi solidificare la sua classifica aggiudicandosi il suo secondo Master consecutivo. Nove tornei conquistati nel 1990, dieci nel 1991; ancora dieci nel 1992 dove, nuovamente domina tre prove del Grande Slam e si laurea Maestra guadagnandosi il soprannome di “la belva di Novi Sad”. Tra il gennaio 1991 ed il febbraio 1993 Monica Seles vanta uno score vittorie-sconfitte di 159–12 (92,9% di vittorie). Nel Grande Slam il suo score è ancora più impressionante: 55–1.
Fino a un giorno, quel giorno; il 30 aprile 1993. Sul campo centrale del Circolo Rothenbaum, nel match di quarti di finale del torneo di Amburgo, Monica Seles sta conducendo 6-4 4-3 su Magdalena Maleeva. Sono le 18.50. Durante il cambio campo, approfittando della disattenzione del servizio di sicurezza, un uomo di trentotto anni originario della ex Germania Est s’avvicina alla panchina della tennista serba. Nessuno si accorge che impugna un coltello da cucina e, mentre Monica Seles si piega leggermente in avanti nell’atto di asciugarsi in sudore, le infligge un colpo sulla schiena. La lama penetra all’altezza della spalla sinistra e le procura una ferita profonda un cm e mezzo. Gunther Parche, questo il nome dello squilibrato, è un tifoso di Steffi Graf e pensa che uccidendo Monica, la tedesca possa tornare n.1 del mondo. La settimana seguente l’attentato, le top 20 si riuniscono per decidere se estendere all’aggressione subita dalla Seles la regola che vale per le giocatrici incinta, alle quali è consentito congelare la classifica. Soltanto Gabriela Sabatini si schiera a favore di Monica che subisce la seconda pugnalata alle spalle, questa volta da parte delle colleghe. La notizia che getta Monica nello sconforto più totale riguarda però un componente della sua famiglia, l’adorato papà che, mentre lei è ricoverata a Vail, si sente male e gli viene diagnosticato un tumore alla prostata.
Con lo stesso fragore che aveva caratterizzato la sua devastante apparizione, Monica esce di scena per ventotto mesi durante i quali l’eco della sua assenza continua a risuonare incessante. È evidente che il coltello di Parche è riuscito in quello che non era stata in grado di fare Steffi Graf: ha fatto molto di più che strappare la schiena di Monica Seles, è entrato molto più in profondità, le ha lacerato la mente. Troppo anche per quel suo fisico indistruttibile, creato, studiato nei minimi dettagli con l’allenamento personalizzato; il cuore capace di soli 40 battiti al minuto quando è a riposo, una soglia anaerobica mai registrata prima in una tennista, troppo per quel suo spirito di sacrificio spaventoso, per la sua ambizione capace di farle conservare una ferocia agonistica ineguagliabile.
Quando ritorna in scena, durante il Canadian Open di Toronto, Monica Seles lo fa a modo suo: vincendo. La finale dell’Us Open 1995 che la vede opposta a Steffi Graf è annunciata come la partita del secolo. Se un errore arbitrale nega alla Seles un ace messo a segno durante il tie-break che le avrebbe permesso di aggiudicarsi la prima frazione; la serba domina la seconda frazione per 6-0, per poi crollare nel terzo parziale. Da questo momento in poi, la seconda carriera di Monica Seles diviene un calvario: la morte del padre, tanti infortuni, problemi di peso, patemi di ogni tipo, alleviati da alcuni trionfi, uno su tutti, lo slam di Melbourne nel 1996.
L’ultima pagina del poema di Monica Seles si consuma il 27 maggio del 2003, proprio in quella Parigi che l’aveva resa immortale quando al primo turno, il fisico ormai logoro e la mente sfinita non le impediranno di incassare un avvilente 6-4 6-0 per mano di Nadia Petrova. L’annuncio ufficiale arriva nel 2008, dopo cinque anni di silenzio. A parlare per lei avrebbero continuato a farlo i suoi numeri: 53 titoli WTA conquistati tra cui 9 prove del Grande Slam e 3 Master, una medaglia di bronzo afferrata alle Olimpiadi di Sydney, tre Fed Cup sotto alla bandiera degli Stati Uniti, 178 settimane da sovrana del ranking.
Giocare a tennis, diventare la numero uno del mondo, vincere sempre e comunque, è stata un’ossessione che ha influenzato la personalità, la vita, di Monica Seles; facendo di lei una donna insoddisfatta, tormentata, incapace di accattivarsi i favori delle platee. Poi, quando finalmente tutti avevano cominciato se non ad amarla, almeno ad accettarla, ha smesso di vincere. Caso vuole che il giorno in cui conquistò il suo terzo e ultimo Roland Garros, nel 1992, tra il pubblico ci fosse pure una bambina di dieci anni che un giorno sarebbe diventata quattro volte regina di Parigi: Justine Henin. Due fuoriclasse legate da ossessioni, da fantasmi che probabilmente le accompagneranno per tutta la vita.
Sulla terra rossa del Philippe Chatrier, Monica è ritornata nel giugno 2012 per premiare il successo di Maria Sharapova. Ha fatto un certo effetto vederla elegantemente vestita, dimagrita, forte di tutto il suo carisma e, finalmente, osannata dal pubblico. C’è voluto il suo ritiro perché il mondo del tennis si accorgesse che il sipario su Monica Seles è calato senza averle permesso di stringere in pugno una soddisfazione di troppo, senza aver udito un applauso di troppo, senza un trionfo di troppo, nonostante abbia vinto e rivinto tutto, tranne Wimbledon, sebbene abbia perso altrettanto, e forse di più ancora. Nell’immaginario collettivo Monica Seles è sempre rimasta la belva di Novi Sad una Atena implacabile, con ogni probabilità destinata a infrangere qualsiasi record, a devastare il circuito, se solo non fosse esistito un uomo di nome Gunther Parche.